domenica 23 agosto 2015

CHE COSA E' IL DISTRIBUTISMO E CHE COSA NON E'.

Capita spesso che quando si parla di distributismo la gente rimanga un po' spiazzata, non conoscendo il termine. La maggior parte intende, estrapolando un possibile significato dal nome, che sia qualcosa che abbia a che fare con qualcuno che distribuisce qualcosa a qualcun'altro. E la cosa rimane nel vago.
Certamente il distributismo non è questo.
Che cosa veramente è, allora?
Il distributismo nasce nella prima metà del secolo scorso in Inghilterra. I suoi fondatori sono tre personalità importanti del mondo politico-culturale di allora: G.K.Chesterton, H.Belloc e padre McNabb.
Che cosa proposero e propongono? In estrema sintesi, due premesse e quattro direttive chiare.
Prima premessa: mettere da parte le ideologie e fare appello, per quanto riguarda l'agire economico-politico-sociale, alla ragionevolezza ed al senso comune. Immediata conseguenza: l'economia non si deve occupare solo di fare quadrare bilanci contabili ma di garantire alle famiglie ed a chi lavora un'esistenza umana e dignitosa basata sulla giustizia sociale. Economia, giustizia e politica sono quindi intimamente connesse.
Seconda premessa: l'uomo è un essere sociale che si realizza in un contesto di relazioni con il proprio prossimo a vario livello: famiglia, lavoro, Stato. A ciascun livello si devono creare le condizioni per una convivenza ottimale tra le persone. Ciò che caratterizza l'uomo è anche la sua libertà creativa, che deve essere perciò potenziata al massimo. Tale libertà non è solo una libertà da ma soprattutto una libertà di: libertà di avere una famiglia, di avere un lavoro, di essere tutelato dallo Stato rispetto ai propri diritti fondamentali contro l'arroganza del più forte.
Prima direttiva: la famiglia è una società naturale che consente all'uomo di crescere e di formarsi. Tale società naturale deve essere tutelata e garantita dagli ordinamenti legislativi, soprattutto nella sua indipendenza economica.
Seconda direttiva: la proprietà privata è un bene essenziale che consente all'uomo di sviluppare le proprie potenzialità in maniera libera e creativa e non servile. E' di fondamentale importanza quindi che si creino le condizioni per una sua massima diffusione tra la popolazione. Questo consentirà anche una massima resa della proprietà e dei beni, perchè nulla come l'occhio del padrone può ingrassare il cavallo. Per ottenere questa massima diffusione c'è una sola strada: favorire l'unione tra capitale e lavoro, favorire cioè che chi lavora possa anche diventare proprietario dei mezzi di produzione. In questo modo si potrà continuare a beneficiare del capitale ma si metterà al bando una volta per sempre il capitalismo, la cui essenza è proprio la separazione tra capitale e lavoro. In questo modo il lavoro tornerà ad essere un mezzo di realizzazione dell'individuo e la sua qualità ed il suo senso nell'orizzonte esistenziale della persona tornerà ad essere predominante, favorendo una crescita di ricchezza umana e produttiva reale. Il profitto e la speculazione verranno sostituiti dalla remunerazione, che è il giusto compenso per il proprio operato e non avranno più un ruolo trainante come purtroppo succede oggi. Il perenne conflitto tra capitale e lavoro, fonte di secolari ingiustizie e di costanti e gravissime sperequazioni sociali, verrà risolto dal basso. Si giungerà ad una situazione di stabilità ed equilibrio economico, in cui ci sarà sempre chi può produrre e chi può comprare. In questo modo l'iniziativa e le capacità del singolo verrano utilizzate al massimo ed il merito tornerà ad essere al centro dell'agire economico-sociale, fatta salva la tutela e la solidarietà verso i più deboli.
Terza direttiva: l'uomo realizza la sua libertà anche attraverso il lavoro in un preciso contesto sociale e territoriale. Perchè il lavoro sia un'occasione di libertà, chi lo esegue deve essere in grado di potere partecipare alla decisioni di tutte le questioni concrete che lo caratterizzano: formazione, definizione degli standard quantitativi e qualitativi di produzione e dei servizi offerti, onorari minimi e massimi, tassazione, tutela previdenziale e pensionistica e quant'altro. E' necessario quindi che si creino dal basso dei contenitori in cui questo tipo di discussione avvenga e prenda forma. Stiamo parlando del principio corporativo. Il principio corporativo, cioè l'aggregazione di persone per comparto lavorativo condiviso, al di là di ogni divisione di classe, deve pertanto essere ripreso e imporsi come modalità prevalente di rappresentanza democratica, sostituendo la ormai desueta ed inefficiente rappresentanza di tipo partitico. Il lavoratore-proprietario deve essere messo nelle condizioni di decidere le cose concrete del suo lavoro, non di votare una volta ogni cinque e demandare il tutto a dei funzionari di partito, vulnerabili ai condizionamenti del grande capitale ed incapaci di realizzare la volontà del popolo.
Quarta direttiva: la finanza e la moneta oggi indubitabilmente governano il mondo. Esse invece devono tornare ad essere uno strumento al servizio del bene comune. Per far questo c'è una sola strada: la moneta deve nascere unicamente ed esclusivamente di proprietà dei cittadini e dello Stato e non del sistema bancario privato come, nell'ignoranza generale, avviene oggi, generando la perversione sociale del debito generalizzato. I gravi problemi economici-sociali che ci attanagliano (tasse esose, debito pubblico e privato, perdita del potere di acquisto dei salari e delle remunerazioni) hanno infatti la loro radice in folli convenzioni monetarie che il sistema bancario è riuscito ad imporre nel segreto delle stanze del potere, all'insaputa dell'opinione pubblica.
Senza questo passaggio ogni altro progetto di cambiamento sarà vano e sarà destinato a rimanere mero flatus voci. Chi controlla la moneta controlla il mondo, come sanno bene i banchieri.
Sesto: lo Stato svolge una funzione importantissima nella tutela e garanzia del bene comune. Tuttavia esso dovrebbe lasciare spazio alla società reale in tutti quei settori in cui questo è possibile.
Quando si dice lasciare spazio alla società reale non si intende concedere via libera alla mano invisibile del mercato, e quindi alla legge del più forte, ma affidare compiti sociali ed economici ai membri delle gilde e corporazioni presenti sul territorio, gilde e corporazioni normate da leggi che garantiscano, come già detto, la lotta ai monopoli, la partecipazione democratica dei propri affiliati, regole condivise che combattano la concorrenza sleale e tutto quanto possa inficiare un mercato equo, efficiente, stabile e prospero. Il settore dell'educazione, della sanità potrebbe quindi essere gestito da questa forma di privato sociale, dove il profitto sarebbe solo il giusto compenso per le proprie fatiche e non il fine principale di ogni impresa economica. Lo Stato distributista è quindi ben lontano dallo Stato social-comunista, che accentra su di sé il potere reale e la proprietà dei beni. Allo stesso modo lo Stato distributista è lontano anni luce dalla Stato capitalista, che, come succede oggi, concentra il potere nelle mani di un gruppo ristretto di capitalisti detentori di immense ricchezze - i grandi banchieri, le grandi multinazionali - i quali di fatto controllano la politica ed i mass-media attraverso il potere dei soldi.
Il distributismo quindi è tutto questo, nella sua interezza. Togliamo una delle quattro direttive e non avremmo più il distributismo ma un suo ibrido incapace di incidere davvero sulla realtà presente.
Il distributismo non è una proposta confessionale, pur essendo stato fondato da persone cattoliche ed essendo profondamente ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa. Il distributismo è aperto a tutti gli uomini di buona volontà.
Il distributismo non si identifica con singole e specifiche ricette tecniche, che devono essere discusse approfonditamente di caso in caso con il supporto di esperti in materia.
Il distributismo indica una strada, una visione alternativa al social-comunismo ed al capitalismo, ed ovviamente al fascismo che rappresenta ormai non più di un fatto storico, ponendosi al di là delle ideologie che dividono, disponibile al dialogo con tutti sulla base del senso comune e della ragionevelezza.
In Italia il distributismo ha preso forma nel Movimento Distributista Italiano (distibutismomovimento.blogspot.com) che ha già avviato una serie di iniziative ed attività al fine di aggregare quante più persone possibile ed incidere nel panorama politico nostrano.
Il Movimento Distributista Italiano è in contatto con associazioni ed istituzioni distributiste di tutto il mondo, nell'intento di consolidare una rete internazionale in grado di affrontare i problemi globali che minacciano la nostra civiltà.

sabato 22 agosto 2015

LA FAMIGLIA: UCCISA DAL CAPITALISMO E SALVATA DAL DISTRIBUTISMO


Che nesso c'è tra capitalismo e famiglia? Non appartengono forse a due dimensioni diverse del reale? Il capitalismo si occupa di modellare la nostra vita economico-sociale, la famiglia rappresenta una scelta personale che riguarda la vita privata.
Sappiamo tutti che questa visione è del tutto superficiale ed infondata. Sarebbe come dire che ciò che determina il modo in cui è strutturata la nostra vita lavorativa, le nostre risorse economiche, la nostra possibilità di essere o no proprietari di alcuni beni, la quantità di tempo che possiamo dedicare allo svago ed alle relazioni, non influenzi in alcun modo la nostra vita personale. Non è così. Il sistema capitalista influenza in maniera sostanziale la nostra possibilità di vivere, intendere e sperimentare la famiglia.
Di piu. L'assunto di fondo del capitalismo è la separazione tra capitale e lavoro. Il capitale viene quindi concepito nella teoria ed attuato nella pratica come un fattore assoluto svincolato dal lavoro, libero di muoversi in qualunque direzione ed in qualunque modo per un unico fine: il profitto.
Tutto ciò che intralcia questa marcia inesorabile e risoluta del capitale verso il profitto è considerato un ostacolo. Così, alla fine del XVIII secolo, sono state definitivamente eliminate le corporazioni, dopo secoli di esistenza, che rappresentavano un corpo sociale intermedio, un centro di potere radicato sul territorio e partecipato dal basso, che poteva opporsi alla proletarizzazione ed allo sfruttamento delle masse, avvenuti puntualmente nei decenni successivi.
Così, a partire dalla seconda metà del secolo corso, è stato sferrato un attacco contro la famiglia, che potrebbe rappresentare, se veramente solida ed economicamente indipendente, un baluardo di valori e formazione umana contro la colonizzazione consumistica operata dalla poderosa macchina del marketing commerciale organizzata dalle grandi multinazionali. Una famiglia solida ed economicamente indipendente è un centro vitale potenzialmente pericoloso per il capitalismo in quanto in essa l'essere umano potrebbe essere educato ed acculturato secondo criteri comportamentali ed orientamenti valoriali non necessariamente coincidenti con quelli veicolati dall'onnipresente organizzazione mass-mediatica capitalista, che sta assumendo tratti orwelliani. Meglio quindi una famiglia liquida, inconsistente, fragile, economicamente vulnerabile: meglio che i figli, dovendo le madri per scelta o necessità andare a lavorare, siano educati a scuola, possibilmente tutti in maniera uniforme secondo i programmi ministeriali, meglio che mamma e papà non abbiamo poi tanto tempo per parlarsi o per per parlare con i figli e quindi per comunicare e consolidare i propri valori; meglio diffondere il divorzio, un divorzio che deve essere sempre più facile e rapido, per consolidare nella gente la convinzione che il patto ed il voto matrimoniale non esista - non mi risulta infatti che esistano patti fatti per essere sciolti – e quindi che il terreno su cui si basa la famiglia non è la solida roccia della donazione reciproca e totale in piena libertà di due persone, ma la soggettività labile e volatile di due individui, di qualunque sesso, esposti a mille condizionamenti. In questa direzione, meglio sostenere che la sessualità debba e possa essere vissuta senza alcun retrogrado senso di colpa anche al di fuori della famiglia, con altre persone, di qualsiasi sesso, o con strumenti informatici – vedi la totale liberalizzazione della pornografia su internet – in modo da aprire le porte alla disgregazione della famiglia dall'interno. Meglio convincere la gente a lasciar libero ogni freno inibitorio nei confronti della propria sessualità, facendo passare tutto ciò come una conquista dell'umanità piuttosto che la perdita della vera libertà umana, quella dagli istinti, e la regressione ad una condizione di dipendenza dalle proprie pulsioni che l'umanità ha già conosciuto in tutte le fasi di decadenza delle civiltà. Meglio diffondere la mentalità che non solo il patto matrimoniale non esista, ma anche l'identità sessuale delle persone non sia un dato emergente dalla natura nell'esperienza quotidiana ma una condizione volatile e reversibile determinata dalla scelta individuale.
Questo modo di pensare l'uomo e le sue relazioni più intime, questo modo quindi di non pensare la famiglia – diciamolo pure, questo attacco alla famiglia – non nasce dal nulla: è stato ed è tuttora lautamente finanziato e foraggiato da quelle fondazioni filantropiche, da quei think tank, da quelle congreghe ed associazioni di ben pensanti e benefattori dell'umanità a loro volta finanziate e foraggiate dai soliti noti, la crema della finanza internazionale e nazionale, un numero ristretto di famiglie plurimiliardarie, di cui forse l'esempio più eclatante è il centenario David Rockfeller, banchiere americano fondatore del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale, ex presidente del “Council of Foreign Relationship”.
Così il cerchio si chiude. I massimi esponenti del capitalismo sono i massimi finanziatori della marea montante ideologica contro la famiglia. Il re è nudo. Capitalismo e famiglia sono due realtà incompatibili, perchè diversi ed inconciliabili sono gli orizzonti valoriali su cui si fondano, con tanta pace di quegli ambienti curiali che ancora si affannano a sostenere il sistema capitalista attuale, proponendone solo flebili palliativi invece che denunciarne con fermezza l'intrinseca incongruenza.
Solo il rilancio di una società nuova, imperniata sulla ragionevolezza ed il senso comune del distributismo, potranno consentire la rinascita vera e concreta dell'istituzione familiare, al di là di ogni confessionalismo ed in nome di quei valori universali che si trovano nel cuore di ogni uomo.

venerdì 21 agosto 2015

Una società più misura d'uomo e meno a misura del dio-denaro.


Siamo in crisi. Una crisi grave che colpisce la maggioranza dei cittadini. I dati sono eclatanti: basta leggere i dati ISTAT sulla povertà, sul reddito e sul potere di acquisto delle famiglie, sul fallimento in massa delle piccole e medie imprese, sull'incremento spaventoso della disoccupazione, giovanile e no, sulle difficili condizioni di vita dei pensionati, sulla denatalità. Ciò che più spaventa inoltre non è il quadro appena descritta ma il fatto che i nostri politici sembrano totalmente incapaci di trovare una ricetta per farci uscire da questa situazione. Se ascoltate attentamente quanto dicono, l'unico mantra che ripetono, in perfetta sintonia tra certa destra e certa sinistra, è che la soluzione verrà dalla banche: la ripresa non avviene perchè ancora le banche non forniscono soldi alla gente, tengono i soldi per sé. Questo è il vero problema da risolvere. Questo modo di pensare invece, senza tema di smentita, è la vera follia! La crisi che ci ha colpito tutti infatti, a partire dai mutui Subprime del 2007, è stata una crisi del debito. Non sapendo più a chi prestare denaro, e quindi come incrementare i loro profitti, le banche hanno incominciato ad indebitare anche chi sapevano sarebbe stato insolvente. I nodi però sono venuti al pettine. Chi era indebitato non è stato più in grado, come era prevedibile, di pagare i propri debiti e così le banche hanno incominciato a fallire, a produrre minor credito, a chiedere indietro quello già erogato, ad imporre condizioni più stringenti e selettive per quello nuovo emesso. Conseguenza: rarefazione monetaria, cioè diminuzione della massa monetaria disponibile ai cittadini per gli scambi, quindi riduzione degli scambi, quindi ulteriore crisi, cioè diminuzione della produzione e delle vendite.
E' importante a questo punto fare un inciso: il denaro oggi nasce solo ed esclusivamente come debito di Stati, imprese e cittadini verso il sistema bancario che lo emette dal nulla a costo zero. Le banconote (3% del denaro totale) vengono infatti emesse dalle banche centrali, per lo più private, secondo un parametro quantitativo totalmente arbitrario ed insindacabile deciso dalle banche centrali stesse e senza alcun riferimento a riserve di qualsiasi tipo. Il peggio però è che vengono emesse solo ed esclusivamente come debito verso tutti gli attori del corpo sociale, debito che deve essere restituito con tanto di interessi. Il rimanente 97% del denaro totale inoltre – udite! Udite! - viene creato dal nulla - infatti si chiama “fiat money” in termini tecnici - dalle banche commerciali private grazie la meccanismo della riserva frazionaria. Per ogni 100 euro depositati, il sistema bancario nel suo complesso è autorizzato a creare denaro dal nulla fino a 50 volte tanto, cioè 5000 euro, denaro che sarà solo e soltanto una cosa: debito verso Stati, imprese e cittadini!
Questo meccanismo perverso di emissione monetaria, per cui produzione di denaro e produzione di debito coincidono in maniera assoluta ed ineluttabile, è la vera causa dell'enorme bolla debitoria di cui tutti noi siamo ancora vittime. Come i nostri politici pensano di risolverla? Incrementandola! Cioè creando le condizioni perchè le banche possano continuare a fare quello che negli ultimi secoli, a parte temporanee e sane ribellioni del corpo sociale, hanno sempre fatto: indebitare i cittadini con l'emissione di denaro-debito! Questo vuol dire, in sintesi, voler spegnere un incendio buttando altra benzina sul fuoco, e chi è responsabile della cosa pubblica non può non essere ritenuto responsabile di tale comportamento.
Aspettiamo quindi gioiosi e speranzosi che le banche siano di nuovo in grado di indebitarci emettendo nuovi prestiti per spianare la strada ad una ancora più radicale schiavitù monetaria, nell'attesa di un'inevitabile ulteriore crisi in cui il sistema bancario potrà compiere l'ulteriore razzia su quei pochi e sempre più scarsi beni reali di cui siamo in possesso.
Se il denaro in generale dovrebbe essere l'ossigeno che consente la vita in termini di scambi e produzione in una società, questo tipo di denaro, il denaro-debito bancario, è un veleno che intossica e compromette ogni sana iniziativa umana in quanto ogni iniziativa ha bisogno di moneta per realizzarsi. Rendiamoci conto della follia: tutto il denaro oggi nasce come debito, quindi se paradossalmente la maggior parte di noi fosse in grado, come dovrebbe e potrebbe essere, di ripagare i propri debiti o, ancora meglio, di non farne, non ci sarebbe denaro sufficiente per gli scambi! Il sistema bancario, in altre parole, tiene per la gola il tessuto produttivo, essendo riuscito, passo passo, leggina dopo leggina, ad impadronirsi del monopolio totale dell'emissione monetaria.
Non abbiamo altra alternativa: o ribellarci e chiedere con risolutezza l'introduzione di un denaro che nasca libero da debito, cioè di proprietà di Stati e cittadini, o condannare noi ed i nostri figli ad una sempre più stringente ed onnicomprensiva schiavitù monetaria imposta dal sistema bancario.
Di fronte a questo scenario i nostri politici non possono rimanere a guardare, proponendo come ricetta il perpetuarsi della spirale debitoria, ma sono chiamati ad agire e subito!
Se non lo faranno – cosa che purtroppo sembra verosimile – toccherà a noi mandarli a casa e sostituirli con rappresentanti intenzionati a fare davvero gli interessi della popolazione.

Il Distributismo propone la massima possibile diffusione della proprietà privata, l'unione tra capitale e lavoro, la partecipazione di chi lavora alle decisioni concrete del proprio comparto lavorativo, la libertà anche e soprattutto economica della famiglie.
Tutto ciò rimarrà irrealizzabile, sarà vuota e sterile retorica finchè il potere reale rimarrà nelle mani di una ristretta cerchia di persone – i banchieri – che sono riusciti ad acquisire la proprietà ed il controllo totale dello strumento monetario e possono così gestire e condizionare la stragrande maggioranza delle azioni umane.

Ridimensioniamo quindi l'”ubris” bancaria, riportiamo il denaro a quello che avrebbe dovuto sempre essere – uno strumento al servizio dell'economia e del bene comune.
Il Positive Money, per esempio, è un progetto di riforma monetaria, messo a punto in Inghilterra da un gruppo di esperti e che sta riscuotendo successo in tutto il mondo: propone che il denaro nasca di proprietà di Stati e cittadini e che il sistema bancario non possa più creare denaro dal nulla. Una ricetta molto semplice, di senso comune, che potrebbe capire anche un bambino delle elementari.

Come distributisti siamo orgogliosi infatti di proporre la ragionevolezza e il senso comune come ingredienti basilari, a disposizione di tutti, per migliorare le cose verso una società più misura d'uomo e meno a misura del dio-denaro.


Laici cattolici e capitalismo: un abbraccio mortale

l mondo cattolico in Italia è ancora forte e ben presente, radicato a livello culturale e sociale.
Qual'è stato e qual'è però il suo ruolo in politica, a partire dagli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale fino da oggi?
Questa domanda si può porre anche in maniera diversa: qual'è stato e qual'è il rapporto tra mondo cattolico e capitalismo, visto che il capitalismo è oggi il modello economico-sociale dominante?
Su questi temi gli storici, i sociologi, gli economisti hanno scritto fiumi di inchiostro e altri ne ne scriveranno ma è importante che la questione venga affrontata anche dalll'opinione pubblica.
I dati storici in nostro possesso parlano chiaro: i laici cattolici impegnati in politica – quelli che sono riusciti ad avere importanti responsabilità istituzionali - a partire dal 1945 sono stati del tutto incapaci di proporre un modello sostenibile economico-sociale alternativo al capitalismo. Ritrovandosi in un contesto politico dominato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, gli esponenti politici cattolici, a partire da De Gasperi e da tutta la nomenclatura democristiana, hanno pensato bene di fare buon viso a cattivo gioco: hanno accettato supinamente il modello di sviluppo imposto dai vincitori del secondo conflitto mondiale, come avevano sostanzialmente accettato il modello dei precedenti “padroni” (ricordiamoci quanto si diceva in tutte le parrocchie: “Mussolini uomo della provvidenza”) cercando di “inverarlo” dall'interno con aggiunte e correzioni di ispirazione cattolica.
Solo la storia potrà svelare se tale cedimento sia stato dovuto ad una necessità imposta dalle circostanze od ad una presa di posizione “ideologica” ed autonoma indipendente da esse od un misto di questi due fattori.
Fatto sta che purtroppo tra capitalismo e laici cattolici si è consumato un abbraccio mortale e l'agonia del capitalismo ha così trascinato con sé tutta quella classe dirigente cattolica che si era crogiolata in tale abbraccio.
Lo Stato capitalista attuale non è in grado di rispondere ai bisogni reali della gente e quindi la disaffezione nei suoi confronti cresce in maniera proporzionale a tale presa di coscienza. L'aumento vertiginoso dell'astensionismo elettorale ne è il segnale più evidente.
I laici cattolici che continueranno sulla strada dell'abbraccio al capitalismo ne subiranno quindi la stessa sorte: verrano sempre più emarginati dall'agire politico e condannati ad un destino di sulbalternità od al massimo continueranno a fare a quello che hanno sempre fatto, più o meno consapevolmente: i camerieri dei banchieri.
Chesterton e Belloc, agli inizia del secolo, fecero un'altra scelta: da cattolici impegnati nel sociale abbracciarono con entusiasmo la verità e l'aderenza al reale, valori peraltro non confessionali, e non i potenti di turno. Si schierarono risolutamente, e senza se e senza ma, contro l'establishment dominante, quello liberal-capitalista, non sulla base di un'ideologia ma del rispetto della ragionevolezze e del senso comune, rispetto ai quali non scesero mai ad alcun compromesso. Così fondarono il distributismo, che, aprendosi a tutti gli uomini di buona volontà, si oppose con pacata risolutezza al capitalismo ed al social-comunismo. proponendo una società a misura d'uomo basata sull'unione tra capitale e lavoro e sull'attuazione di una vera democrazia basata sul principio corporativo.
Ora la proposta profetica di Chesterton e Belloc ha di fronte l'orizzonte del futuro, sapendo intercettare il cuore della gente e ponendosi come risposta praticabile ai gravi problemi attuali, mentre i laici cattolici che hanno abbracciato il capitalismo sono destinati alla polvere della storia. Ci ricordiamoci noi oggi forse di quelle migliaia di laici cattolici che, ammaliati dal luccichio del tempo presente, abbracciarono con entusiasmo il fascismo?

lunedì 3 agosto 2015