lunedì 26 giugno 2017

DISTRIBUTISMO: E' GIUNTA L'ORA DI SCENDERE IN CAMPO


Le recenti amministrative ci mostrano quanto sia desolante il quadro politico italiano.
Il PD della grande alleanza tra statalismo e banche, in evidente crisi d’identità, viene bocciato dagli elettori.
Il centro-destra, che mi risulta sia stato al potere con ben 4 governi, l’ultimo il famoso Berlusconi IV che ha poco dignitosamente abdicato in favore del governo Monti il 16 novembre 2011, sembra essere stato resuscitato dalle catacombe durante il recente turno amministrativo ma è indubitabile che abbia già avuto parecchie occasioni per dimostrare la validità della propria proposta, fallendo ogni volta miseramente nei fatti. Credere ancora nello stesso centro-destra vorrebbe dire condannarci ad una sterile coazione a ripetere.
C’è poi il nuovo che avanza, i 5 Stelle. Si tratta di un movimento fondato da un comico, piuttosto frustrato dall’essere stato estromesso dalla TV di Stato, e da un grande amico della finanza internazionale, tale Giancarlo Casaleggio, che, passando recentemente a miglior vita, ha dato in eredità la sua creazione al figlio. Casaleggio era una sorta di guru new-age, che vagheggiava che l’umanità fosse alle soglie di una nuova era, nella quale il supremo strumento di redenzione sarebbe stata la Rete, proprio l’opposto di quanto il senso comune indicherebbe: se mai dovrebbe essere l’umanità a redimere la Rete e non viceversa.
I 5 Stelle stanno inoltre dimostrando nei fatti di essere quello che ciascuno avrebbe potuto prevedere da queste premesse: un movimento centralistico, privo di una vera e propria democrazia interna e soprattutto di una visione coesa e ragionevole in grado di risolvere davvero i gravi problemi che ci affliggono. Alla fine ha mostrato il suo vero volto, allineandosi con i dettami del mondialismo internazionale finanziario e non (non parlano più di uscita dall’euro, di rinegoziazione dei trattati europei, di riforma seria del sistema monetario, di alternative praticabili al sistema dei partiti, di tutela dell’identità culturale dei territori).
Sullo sfondo emerge poi il partito dei sindaci, capitalizzando sul successo di singole individualità che, sganciandosi dal moloch “partitI” e dalle loro ideologie alla deriva, sono risusciti effettivamente a migliorare un po’ le cose nelle loro città. Tuttavia, senza una visione generale condivisa e condivisibile su cui basarsi, questi tentativi sono piuttosto destinati a fare da specchi per le allodole per il tentativo di riciclaggio dei vecchi matusa di periferia della politica nostrana, che subodorano il crollo del carrozzone su cui si trovano e cercano disperatamente alloggio su carri più vincenti.
Di fronte a questa tetra situazione, il distributismo propone una cosa molto semplice: il ritorno al senso comune.
Centro-sinistra e centro-destra hanno fallito non perché i suoi esponenti siano tutti brutti, sporchi e cattivi, o perché siano tutti moralmente corrotti – potremmo parlare in questo caso di una qualificata maggioranza relativa - ma semplicemente perché i contenuti che hanno tentato di realizzare non sono stati in grado di intercettare il reale.
Entrambi infatti hanno lasciato del tutto invariati i mali strutturali che continuano a produrre malessere economico-sociale. Questi mali secondo il distributismo sono:
-        Una politica economica che ha perso di vista la centralità della famiglia e si è supinamente piegata al diktat capitalistico-statalista secondo cui il fine ultimo dell’economia non è appunto il benessere della famiglia ma la massimizzazione dei profitti all’interno di un generale “laissez faire”.
-        Una politica economica che ancora una volta si è piegata al diktat capitalistico-statalista secondo cui è buono e giusto che capitale e lavoro siano separati. Non importa se il capitale sia nelle mani di pochi capitalisti privati o dell’apparato burocratico dello Stato, l’importante è che non sia nelle mani dei lavoratori, che la proprietà produttiva non sia diffusa: questo sembra essere il dogma che unisce la destra e la sinistra di oggi.
-        Il sostegno pervicace all’assioma secondo cui il sistema dei partiti è il migliore dei sistemi di rappresentanza esistenti per affermare la democrazia, la continua ed inesorabile a sottrazione di poteri reali ai cittadini, negando ogni spazio significativo di azione ai tanti corpi intermedi che nascono spontaneamente sul territorio.
-        L’accettazione passiva del sistema monetario del denaro-debito, che sta letteralmente consumando di debito il corpo sociale ed soffocando le sane risorse e le iniziative economico-imprenditoriali dei territori, attraverso i mali del tutto artificiali delle tasse esose, del debito pubblico e del debito privato.   

Di fronte a questo stato di fatto, il distributismo non pretende di avere soluzioni miracolistiche e millenaristiche, tantomeno di poter realizzare il paradiso in terra, pretende solamente di applicare seriamente il senso comune ed incominciare fin da ora a cambiare marcia, attraverso l’attuazione, ai vari livelli istituzionali, di quattro direttive principali:
-        Rimettere al centro dell’economia la famiglia, basata sull’unione matrimoniale tra un uomo ed una donna aperti alla procreazione responsabile. Una sana economia non si misura solo dai numeri del PIL ma soprattutto dal grado di benessere, autonomia e capacità di autosostentamento della famiglia. Tutte le leggi e normative economiche dovranno pertanto perseguire tale obiettivo.
-        Puntare all’unione di capitale e lavoro, creando le condizioni per cui tutti coloro che lo vogliano e ne abbiano le capacità diventino proprietari dei mezzi di produzione. In questo modo si potrà diffondere al massimo la proprietà produttiva e si creeranno i presupposti per un equilibrio ed una vera prosperità economico-sociale
-        Puntare alla riacquisizione di potere reale da parte dei cittadini, aggregandoli sui territori non in base alla classe od all’ideologia di appartenenza ma in base alla funzione sociale svolta (principio corporativo). Per esempio, per quanto riguarda la salute mentale, si potrà creare una Gilda della Salute Mentale che comprenderà tutti gli operatori ed i cittadini a vario titolo coinvolti in questo settore. Tali aggregazioni, funzionanti secondo un principio interno democratico, dovranno essere dotate del potere di discutere ed decidere le questioni economico-sociali più importanti legate al proprio proprio ambito.
-        Liberare il denaro dal debito, ridando alle istituzioni pubbliche – Stato, regione, comune – e direttamente ai cittadini la proprietà della moneta al momento dell’emissione, in modo da mettere definitivamente fine alle piaghe del debito pubblico e privato ed alle tasse esose e restituire la moneta alla sua funziona primigenia di strumento volto all’incremento degli scambi e quindi al massimo sviluppo delle potenzialità produttive del territorio.
In sintesi quindi sono queste le quattro colonne portanti del distribustismo: famiglia, unione tra capitale e lavoro, il principio corporativo contro la partitocrazia ed un denaro libero da debito.
Riteniamo quindi che oggi più che mai sia giunta l’ora, per tutti coloro che credono convintamente nei principi distributisti, di uscire dal proprio guscio e scendere in campo, partecipando alla discussione politica e cercando di incanalare il consenso degli italiani. Non è più il momento delle discussioni da salotto, è il momento di confrontarsi con la realtà e cercare di incidere profondamente e positivamente su di essa.
Per questo è stato creato, da un gruppo di liberi cittadini, il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com).
Il nostro è uno sforzo immane, una battaglia dove le nostre forze appaiono al momento minoritarie, ma siamo convinti che il senso comune, radicato nel cuore di ogni uomo, una volta stimolato, possa produrre frutti insperati; in altre parole, siamo convinti che esista ancora quella famosa maggioranza silenziosa, stufa di essere trascinata qui e là da una minoranza molto attiva ma poco aderente al reale, e che tale maggioranza silenziosa sia pronta invece a dare il proprio consenso a proposte basate sulla retta ragione.
Chiediamo pertanto a soci, amici e simpatizzanti di sostenerci in maniera concreta. Le forme per farlo sono tante: chi vuole si può iscrivere al Movimento Distributista Italiano (costa solo 20 euro all’anno, 1,6 euro al mese!), fare una donazione o creare un gruppo MODIT (bastano solo tre persone) sul proprio territorio.
La battaglia è appena iniziata e il suo esito dipende solo dalla nostra tenacia e perseveranza!
Non sappiamo se vinceremo ma certamente che continueremo a dare la nostra testimonianza di verità.

Per ulteriori informazioni:
distributismomovimento.blogspot.com

lunedì 19 giugno 2017

PARTITO DEI SINDACI E LISTE CIVICHE: OCCASIONE O COAZIONE A RIPETERE? IL PUNTO DI VISTA DEL MOVIMENTO DISTRIBUTISTA ITALIANO


Proprio ieri, su un articolo in prima pagina del giornale La Sicilia, Leoluca Orlando, neo-eletto sindaco di Palermo con una maggioranza di sinistra-centro de 46,6%, ha rilanciato in maniera esplicita il “Partito dei Sindaci” come soluzione ai mali della Sicilia e dell'Italia.
Orlando parla apertamente di crisi dell'istituzione “partito”. I partiti, dice Orlando, sono lontani dalla gente, dagli interessi concreti del territorio. In alternativa a tale modello, Orlando propone quindi un modello “civico”, che riecheggia da vicino l'idea dell'”economia civile” proposta dal professore Stefano Zamagni, ex presidente della Facoltà di Economia dell'Università di Bologna, nominato nel 2007 dal governo Prodi presidente dell'Agenzia per le Onlus e nel 2013 da papa Francesco membro ordinario della Pontifica Accademia delle Scienza.
Sulla stessa scia, molti personaggi politici che hanno fatto parte dell'apparato dei partiti sia di centro-sinistra sia di centro-destra stanno abbandonando il loro ovile originario per riciclarsi con liste civiche dai nomi fantasiosi ma sempre attinenti ad alti valori etici, ripresentandosi così con abiti diversi agli stessi cittadini.
Tutto ciò inoltre avviene nel bel mezzo della crisi di quelle ampie e coerenti visioni che sono state in grado di trascinare dietro di sé milioni di persone nel corso del secolo scorso: il capitalismo, il social-comunismo. Una crisi causata essenzialmente dal fallimento pratico di tali visioni, cioè dalla loro sostanziale incapacità di incontrare il reale e migliorarlo.
Il ritorno al civismo comunale quindi può essere interpretato in due modi principali:
di fronte alla caduta di ogni paradigma ideologico generale ci si rifugia nel concreto e nel “particulare”, perdendo di vista una visione generale dell'economia e del bene comune nelle sue dimensioni macro-sistemiche. Una sorta di empirismo a dimensione locale, che neghi la possibilità di cogliere gli universali che dovrebbero dettare i principi di ogni retto e prospero ordine economico-sociale. Lo slogan di questa posizione potrebbe essere: “non vogliamo cambiare il mondo, vogliamo cambiare il nostro comune”.
L'altro modo di interpretare il ritorno al civismo comunale consiste invece nell'affrontare senza complessi di inferiorità le grandi questioni ed asserire senza se e senza ma il fallimento radicale delle narrazioni capitalista e social-comunista, nelle loro varie declinazioni, proponendone invece un'altra, in grado di intercettare il reale e consentire il massimo sviluppo possibile delle risorse umane concrete delle persone. Questa è la strada che ha intrapreso il distributismo.
Se il ritorno al civismo comunale rappresenta una battaglia minimalistica di retroguardia, priva di una chiara visione dei principi fondanti che devono caratterizzare i vari aspetti della vita civile, questa battaglia è persa in partenza, di fronte allo schieramento di forze finanziarie messe in campo dal sistema statalista-capitalista attuale, in grado di controllare e gestire a piacimento i mass-media.
Il distributismo a questo riguardo non ha dubbi. Il confronto con capitalismo e social-comunismo va affrontato in campo aperto. Va detto in maniera esplicita che prima viene la società naturale, così come si costituisce sui vari territori, e poi lo Stato, che di questa società deve essere espressione naturale e non strumento di controllo e di artificiale plasmazione. Va quindi detto in maniera esplicita che la famiglia naturale basata sull'unione di un uomo ed una donna aperti alla procreazione responsabile è la prima “societas” che deve essere lasciata libera di esprimere tutte le sue potenzialità, che questa libertà oggi è gravemente minacciata ed inibita e va invece supportata in con una legislazione adeguata. Va detto in maniera esplicita che il sistema dei partiti non ha rappresentato fino ad ora altro che un meccanismo di progressiva espropriazione di potere nei riguardi dei cittadini e dei corpi sociali intermedi e di accumulazione di proprietà e potere nelle mani di un numero ristretto di persone, siano esse i grandi capitalisti od i burocrati di Stato, e che devono essere al più presto attivate forme di partecipazione e rappresentanza democratica più efficaci e concrete, basate sull'appartenenza e la condivisione di una stessa funzione socio-lavorativa piuttosto che sulla comune adesione ad una ideologia (principio corporativo). Va detto in maniera esplicita che finchè viene accettato il dogma condiviso da capitalismo e social-comunismo, secondo cui è buono e giusto che capitale e lavoro e lavoro siano separati, ogni possibilità di uno sviluppo equo e prospero dell'economia e della realtà sociale sarà impossibile: vanno perciò emanate leggi ad ogni livello istituzionale che mettano chi lo desidera nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione. Infine, va detto in maniera esplicita che ogni tentativo riformista di migliorare le cose sarà destinato inesorabilmente a fallire se la cittadinanza non assume la piena consapevolezza che lo strumento monetario che oggi utilizziamo costituisce un mezzo di asservimento debitorio, gestito in regime di totale monopolio dal sistema bancario privato. Vanno pertanto intraprese fin da subito tutte quelle iniziative legislative e sociali, a vario livello, in grado di porre un rimedio a questo grave problema.
Su queste basi riteniamo che un ritorno ad un sano civismo comunale possa rappresentare il punto di partenza per un cambiamento sostanziale del modo di intendere la vita economico-finanziaria e sociale e contribuire significativamente al bene comune generale e non “particulare”.
A nulla vale quindi presentare liste civiche animate da lodevoli intenti se è i programmi di tali liste non mettono nero su bianco questi punti fondamentali, in modo che il vincolo che leghi tutti coloro che vi aderiscono non sia la fiducia cieca nel salvatore di turno ma la consapevolezza di un programma chiaro da attuare, indipendentemente dalle persone concrete che se ne fanno interpreti.