lunedì 30 luglio 2018

L’APOSTASIA POLITICA DEL PARTITO DEMOCRAZIA CRISTIANA



“Apostasia politica” è il termine con cui Pasquale Pennisi, sulle pagine de “Il Popolo di Roma” del 28 novembre 1950, indica quello che secondo lui era la posizione del partito Democrazia Cristiana rispetto agli insegnamenti della Scuola Sociale Cattolica.
La sua tesi è molto semplice: i maggiorenti del partito scudocrociato, durante gli anni della loro fuoriuscita in Francia a causa del regime fascista, furono fortemente influenzati dal pensiero dei “catholique de guache”, a loro volta influenzati dal pensiero di Marx e di Rousseau, ed in questo modo diluirono molto, fino ad abbondonare sostanzialmente, il riferimento alla tradizione del pensiero sociale cattolico, ed in particolare al corporativismo, che ne costituiva la struttura portante. 
Così quando, con le elezioni dell’aprile 1948, la Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi ottenne dal popolo italiano, raccolto anche nei Comitati Civici di Luigi Gedda, un consenso plebiscitario e la maggioranza assoluta, invece che utilizzare tale mandato per portare avanti ed applicare nei fatti il corporativismo della Dottrina Sociale della Chiesa, alleandosi con i missini ed i monarchici, la Democrazia Cristiana preferì tenere le porte aperte verso i partiti massonici (repubblicani) e socialisti, tradendo le attese del popolo italiano ed operando una sorta di apostasia politica verso la Dottrina Sociale della Chiesa.

Alla luce degli eventi dei successivi 70 anni, non si può non dare ragione alla tesi di Pasquale Pennisi, espressa nel lontano 1950: le cause del fallimento della DC vanno rinvenute nella sua apostasia politica dalle radici del pensiero sociale cattolico, dalla presa di distanza cioè da quel Logos da cui la realtà stessa dipende e che in grado di illuminare e portare a compimento la ragione umana applicata alla politica ed all’economia.

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