Cari soci, amici e simpatizzanti
del Movimento Distributista Italiano,
penso sia chiaro a tutti la
gravità della situazione economico-sociale e politica in cui si
trova il nostro paese all'inizio del nuovo anno, il 2015.
La crisi si protrae ormai da 8
anni e moltissime e disparate sono le analisi che sono state fatte, a
vari livelli, circa le sue cause e le sue conseguenze.
Dal punto di vista distributista,
questa crisi rappresenta l'esito finale di un ideologia fallace ed
incongrua: il capitalismo.
L'essenza del capitalismo può
essere individuata in un assunto di fondo: è bene che capitale e
lavoro siano separati. Da questa matrice di pensiero, ha avuto
origine il denaro-debito, un tipo di denaro cioè, unico nella
storia, in grado di moltiplicarsi da solo. Il denaro-debito
rappresenta infatti un denaro che si svincola da qualsiasi
riferimento ad una riserva aurea (15 agosto 1975) per diventare “fiat
money”, puro elemento virtuale in grado di auto-prodursi con una
digitazione di computer od un tratto di penna (assegno), grazie al
meccanismo convenzionale della riserva frazionaria. Si chiama però
denaro-debito perchè il sistema bancario ne ha assunto il controllo
assoluto e lo emette a costo praticamente zero, solo ed
esclusivamente come debito di Stati e cittadini. Da cui
l'indebitamento endemico e generalizzato che tutti noi possiamo
osservare.
La separazione tra capitale e
lavoro si è poi manifestata per quello che è: uno strumento del
capitale per trarre vantaggio dal lavoro, creando una massiccia
sperequazione nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze.
Perchè oggi un infermiere, che svolge un ruolo pieno di sacrifici e
molto utile alla collettività, riceve uno stipendio che può essere
anche di 1000 volte inferiore a quello di un banchiere, di un
proprietario di industria o di un possessore di titoli finanziari? La
differenza di reddito, di per sè giusta, può essere giustificabile
in queste proporzioni? Se ci guardiamo un po' intorno dobbiamo
prendere atto che questo fenomeno sta avvenendo a livello planetario:
l'1% della popolazione mondiale oggi possiede più ricchezza del
rimanente 99%.
Oltre ad essere un dato moralmente
riprovevole, questa situazione è anche economicamente insostenibile:
solo una ripartizione equilibrata delle risorse consente la stabilità
e la prosperità dell'economia, una situazione cioè in cui ci sarà
sempre chi può comprare e chi può vendere, e quindi un costante
alto numero di scambi commerciali e di servizi.
Il Movimento Distributista
Italiano sostiene quindi con convinzione che questa crisi non è una
fase transitoria di un sistema di per sé insostituibile chiamato
capitalismo ma è la dimostrazione nei fatti della insostenibilità
ed estrema incongruenza del capitalismo stesso, che è sopravvissuto
nello stato agonico in cui si trova oggi solo grazie all'intervento
della mano pubblica, che negli Stati Uniti ed in Inghilterra, Stati
capitalistici per definizione, ha evitato qualche anno fa il
collasso definitivo.
Ci troviamo quindi nella fase
terminale dell'esperienza capitalista. Oggi il potere reale non è
più nelle mani del potere politico istituzionale bensì in quelle
del sistema finanziario nazionale ed internazionale – le banche -,
che, attraverso il monopolio assoluto della gestione degli strumenti
monetari, di fatto decidono le sorti di intere nazioni facendo leva
su fattori prettamente finanziari. Non è un caso che nel momento in
cui scriviamo la sorte delle nazioni europee sembra decisamente più
dipendere dalle decisioni arbitrarie ed assolutamente insindacabili
di un banchiere, governatore della Banca Centrale Europea, Mario
Draghi, ex consulente della banca d'affari internazionale Goldman
Sachs, piuttosto che dei politici democraticamente eletti durante le
recenti elezioni europee.
Che fare dunque?
La strada che il Movimento
Distributista Italiano propone è molto semplice:
- mettere fine allo strapotere del mondo finanziario sull'economia reale e sulla politica, restituendo allo Stato ed ai cittadini la proprietà del denaro al momento dell'emissione. In questo modo la moneta tornerà ad essere uno strumento al servizio dell'economia e del bene comune, ristabilendo un ordine naturale che il denaro-debito bancario ha progressivamente sovvertito a partire dal XVII sec.. Gli organismi politici, democraticamente eletti solo allora si potranno riappropriare dell'autorità e del potere di sviluppare un politica economica in grado di arrecare benessere e prosperità alla comunità dei popoli.
- implementare il più possibile, nel rispetto della reale libertà di mercato e dello spirito di iniziativa individuale, la riunione tra capitale e lavoro, in modo che chi lavora sia messo nelle condizioni, dove possibile, di diventare proprietario dei mezzi di produzione. In questo modo la proprietà privata, pilastro del benessere dei cittadini, sarà distribuita naturalmente in maniera più equa, favorendo prosperità e stabilità economica ed il lavoro tornerà ad essere uno strumento al servizio dello sviluppo umano.
- Implementare il più possibile il potere decisionale delle singole categorie lavorative rispetto alle questioni economico-sociali più importanti che le riguardano (tassazione, sistema previdenziale-pensionistico, formazione), incrementando la partecipazione diretta della persone alle scelte fondamentali della loro vita socio-lavorativa (creazione di comparti lavorativi).
- Implementare l'autonomia economico-finanziaria della famiglia, attraverso un reddito di cittadinanza ed un reddito per il lavoro delle casalinghe.
Abolizione del denaro-debito
bancario ed introduzione della proprietà popolare della moneta,
legislazione distributista che favorisca l'unione tra capitale e
lavoro e la creazione di comparti socio-lavorativi di settore che
decidano tutte le questioni più importanti della sfera
socio-lavorativa, incremento dell'autonomia economica delle famiglie:
sono queste le quattro direttive
verso cui si indirizza la proposta distributista, proposte basate
sulla ragionevolezza ed il senso comune e come tali prive di
qualsiasi connotazione ideologica.
Utopico, potrebbe dire qualcuno?
Esattamente l'opposto, diciamo noi. Etimologicamente “utopia”
vuol dire “non luogo”. Come già diceva J.K.Chesterton nel 1917,
l'”utopia”, cioè il “non luogo”, è quella dei banchieri
usurai, che sono riusciti, con strumenti convenzionali privi di
logica e di senso comune, a creare un mondo artificiale staccato
dalla realtà, in cui l'ordine naturale delle cose si ' rovesciato e
l'uomo si è ritrovato asservito dell'economia, l'economia asservita
al denaro.
E' proprio il ritorno al reale ed
alla ragionevolezza invece che ci può aiutare a superare questa
follia sociale ed economica chiamata capitalismo, una follia che ci
rende schiavi e da cui ci dobbiamo liberare.
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