Ormai è un dato che tutti considerano
scontato: quella in cui viviamo non è una vera democrazia, ma una
democrazia fasulla, in cui il potere reale è ben lungi dall'essere
posseduto dal popolo ma si trova saldamente nelle mani di un
ristretta oligarchia economico-finanziaria.
Questa oligarchia finanziaria non è
una realtà fumosa e vaga ma ha un volto ben preciso: secondo la
rivista Fortune la famiglia Rotschild, per esempio, possiede il
patrimonio di maggioranza delle 500 multinazionali mondiali
(https://www.google.it/search?q=forbese+500+famiglie+controllano&ie=utf-8&oe=utf-8&client=firefox-b&gfe_rd=cr&ei=6xQeWON8sKTzB775jKgM#q=le+famiglie+più+ricche+del+mondo).
Il cittadino medio quindi assiste
impotente ad un processo di cui è vittima sacrificale designata: la
costante perdita di potere sia in termini economici sia in termini
politici.
Impotente, perchè ciò che gli viene
ripetuto come un mantra è che il sistema partitico è il migliore
sistema possibile di rappresentanza, l'unico che possa realizzare una
vera democrazia: altri non ce ne sono.
La realtà è ben diversa. Come avevano
brillantemente fatto notare nel 1913 i distributisti inglesi Hilaire
Belloc e Cecil Chesterton nel libro “Partitocrazia”
(“Partitocrazia”, ed Rubbettino, 2014), il sistema partitico
costituisce invece lo strumento ideale di controllo pressochè totale
della politica da parte della grande finanza.
Il rapporto tra il singolo cittadino ed
il parlamentare eletto è infatti quanto di più elusivo possa
esistere, mentre le illimitate somme di denaro possedute
dall'oligarchia finanziaria si rivelano immancabilmente una forza
corruttiva ed cogente in grado di aprire praticamente ogni porta e di
vincere ogni resistenza.
Basti fare un semplice ragionamento:
ogni campagna elettorale ha un costo. Negli Stati Uniti le grandi
banche internazionali rappresentano il principale donatore di fondi
ai candidati di entrambi i partiti – repubblicani e democratici
(http://www.libreidee.org/2016/01/usa-elezioni-e-soldi-chi-si-compra-il-futuro-presidente/).
Saranno in grado pertanto i candidati, una volta eletti, di tutelare
gli interessi dei cittadini rispetto a quelli delle banche? Ognuno
tragga le debite conclusioni.
Questo spiega perché le legittime
attese di un cambiamento reale negli ultimi 70 anni siano andate
regolarmente deluse.
Che fare dunque?
Un'analisi della situazione basata sul
buon senso e sulla ragionevolezza, al di là di ogni sterile
divisione ideologica, impone la presa di coscienza che quello che non
funziona non è questo o quel partito, questo o quel presidente del
consiglio, questo o quel sistema elettorale ma il sistema partitico
stesso.
Il distributismo
(distributismomovimento.blogspot.com) afferma in maniera molto netta
che è ora di invertire marcia e dar vita ad un sistema in cui i
cittadini, le famiglie ridiventino i principali depositari del potere
reale. Per far questo c'è un unico modo: seguire appunto il senso
comune e la ragionevolezza e mettere da parte le inutili ideologie.
Il senso comune ci dice che ha potere non chi, una volta ogni 5 anni,
infila in un'urna un foglietto bianco con una crocetta, ma chi può
partecipare alle decisioni di tutte le concrete questioni importanti
che riguardano la propria sfera socio-lavorativa; ha potere non chi
dipende per il proprio sostentamento economico da scelte prese da
oscuri burocrati ma chi è in grado di mantenersi da solo, grazie
alla propria capacità lavorativa e d'iniziativa. Questo sistema, che
tutte le persone di buona volontà riconoscono come il più naturale
ed il più confacente al desiderio di libertà della natura umana, si
chiama in un solo nome: sistema corporativo. Il sistema corporativo
si basa su un assunto molto semplice: aggregare le persone per
comparto lavorativo e dare ad esse la massima autonomia e libertà di
gestire nei vari territori la propria vita economico-sociale,
stabilendo regole condivise finalizzate alla stabilità e prosperità
generale. La visione corporativa proposta dal distributismo ha alla
sua radice una visione dell'uomo che non è l“homo hominis lupus”
di hobbesiana memoria. Per il distributismo l'uomo è un essere per
natura sociale e gli scambi e le relazioni virtuose che ha con il
prossimo rappresentano un importantissimo, se non il principale
strumento della sua realizzazione.
Ciò di cui quindi abbiamo
disperatamente bisogno oggi è una decisa e risoluta svolta
corporativa, che incominci a stabilire forti legami solidari nei vari
territori tra persone che condividono gli stessi ambiti lavorativi.
Non importa quale sia il nome di tali aggregazioni: possiamo
chiamarle corporazioni o gilde o sodalizi occupazionali. L'importante
è che esse si costituiscano ed incomincino a ridare al lavoro ed
alla capacità dei singoli quella forza rappresentativa che è andata
persa nei secoli.
Le corporazioni si distinguono dai
sindacati perchè il loro scopo non è la mera rivendicazione di
diritti nei confronti del “padrone” di turno ma l'incontro di
tanti piccoli “padroni” che intendono tenacemente mantenere la
proprietà dei mezzi di produzione e discutere insieme tutti gli
aspetti della loro attività socio-lavorativa: la qualità dei
prodotti o servizi forniti, le questioni deontologiche,
previdenziali, assistenziali, fiscali, formative e quant'altro. La
corporazione non è il luogo di riunione di una classe sociale ma
l'incontro di diverse classi sociali che condividono tra di loro la
stessa funzione lavorativa, se pur con ruoli e responsabilità
diversi. Il legame tra i membri della corporazione non è la mera
rivendicazione settoriale ma la comune partecipazione ad un'opera, ad
un lavoro, ad una funzione sociale. In sintesi: la corporazione è la
strada obbligata da seguire per pervenire insieme ad una piena
umanizzazione dell'attività lavorativa ed al ristabilirsi di un
livello adeguato di giustizia sociale.
Purtroppo oggi nell'immaginario
collettivo il termine “corporazione” viene associato ad una serie
di fenomeni sociali negativi, a circoli chiusi avidamente votati al
perseguimento dell'interesse di casta, siano essi dei corpi
professionali o delle associazioni di multinazionali. La
“corporazione” dal sistema capitalista viene così intesa come il
nemico giurato della libertà economica e d'iniziativa, un residuo di
medioevo da abbattere e sulle cui ceneri costruire le “magnifiche
sorti e progressive dell'umanità”.
Anche qui, niente di più falso. In
realtà il sistema corporativo costituisce la più granitica garanzia
della libertà economica e d'iniziativa, perchè per definizione
previene e combatte la tendenza monopolistica della grande finanza e
del grande business, stabilendo regole e codici comportamentali che
consentano la massima possibile diffusione della proprietà
produttiva e quindi del benessere economico. All'opposto, è proprio
invece il capitalismo, dove per capitalismo si intende quel sistema
che favorisce la separazione tra capitale e lavoro, a sfociare, come
possiamo osservare con i nostri occhi, in un sistema fortemente
monopolistico e squilibrato, in cui la libertà dei singoli non trova
più via di espressione. La mancanza di regole del
liberal-capitalismo non rappresenta altro che l'affermazione della
legge del più forte e la perdita della libertà dei più.
Non a caso i due sistemi che hanno
dominato gli ultimi 70 anni - capitalismo e social-comunismo, lungi
dal contrapporsi, hanno entrambi favorito un modello di società in
cui il potere reale confluisce nelle mani di pochi: l'elite
economico-finaziaria nel caso del capitalismo, l'apparato burocratico
di partito nel caso del social-comunismo. Ultimamente stiamo
assistendo alla perversa alleanza di questi due sistemi: il
capitalismo, attraverso il monopolio assoluto della produzione di
denaro-debito, utilizza lo Stato come braccio armato per la
riscossione dei propri crediti ed in cambio fornisce una lauta
ricompensa alla casta dei burocrati statali.
Belloc e Chesterton, circa un secolo
fa, già profeticamente indicavano nello Stato Servile l'esito ultimo
di capitalismo e social-comunismo.
Per non ripetere gli errori del
passato, si impone quindi, oggi più che mai, una svolta corporativa,
una svolta che consenta di restituire alla gente il potere che gli
spetta.
Tale svolta è assolutamente necessaria
e si integra perfettamente con gli altri tre fondamentali punti della
proposta distributista:
- il ritorno ad una reale indipendenza economica dell'istituzione familiare
- la riunione tra capitale e lavoro
- il ritorno della proprietà del denaro al momento dell'emissione direttamente ai cittadini.
Per informazioni:
distributismomovimento.blogspot.com
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