La globalizzazione ci consente
oggi di essere aggiornati in tempo reale rispetto ad una miriade di informazioni
provenienti dai più disparati angoli dei mondo e di ottenere in tempi
rapidissimi, attraverso internet, dati che prima erano accessibili solo a costo
di lunghe ricerche.
Tutto questo però ha una suo lato
negativo. La nostra mente infatti rischia di essere sopraffatta da tale mole di
informazioni e di perdere la sua qualità più importante: la capacità di
critica, di “intus” (=dentro) “legere” (=leggere), di “leggere dentro” le
notizie. Rischiamo cioè di accumulare nozioni ma di perdere la nostra
intelligenza.
Ciò è vero soprattutto per quanto
riguarda la situazione economico-sociale. Gli “esperti” ci sommergono di cifre
e di termini criptici e super-specialistici (“rapporto deficit/PIL”,
“quantitative easing”, “pareggio di bilancio”, “bilancia dei pagamenti”), ma
cosa veramente capiamo noi dell’economia?
Soprattutto: cosa capiamo delle
vere cause che hanno indotto questa grave crisi economico-sociale strutturale
iniziata nel 2007 e tuttora perdurante?
Il distributismo
(distributismomovimento.blogspot.com) a questo proposito può essere di grande
aiuto.
Riflettiamo insieme: qual è il
fenomeno economico-sociale che sta alla base delle costante instabilità
economica del sistema capitalistico e della evidente progressiva accumulazione
di beni e risorse nelle mani di una sempre più ristretta elitè di persone?
La risposta è molto semplice: la
separazione tra capitale e lavoro.
Cosa vuol dire “separazione tra
capitale e lavoro”?
Vuol dire che si considera buono
e giusto che da una parte ci sia chi sia possessore del capitale e dall’altra
chi offra la propria attività lavorativa. Non quindi capitale e lavoro uniti
nelle stesse persone, cioè nel lavoratore che è anche proprietario dei mezzi di
produzione e che quindi ha un ruolo attivo in tutte le fasi decisionali
dell’attività produttiva ed è anche destinatario finale dei proventi di tale
attività ma una netta separazione tra la figura del proprietario e del
lavoratore. Non quindi due uomini liberi, ma la divisione tra un uomo libero ed
un uomo “dipendente”.
Questa modalità di intendere
l’attività economica ciclicamente si affaccia alla ribalta della storia: il
mondo romano per esempio, dopo un periodo iniziale in cui aveva prevalso la distribuzione della proprietà produttiva, di
natura prevalentemente agraria, progressivamente, anche con l’affermarsi della
schiavitù, avanzò verso una sempre più rigida separazione tra capitale e
lavoro, un’affermazione che comportò immediatamente il sorgere di problemi
economico-sociali molto simili ai nostri (impoverimento generale della classe
media, concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi). Speculazioni
economiche e finanziarie erano all’ordine del giorno nella Roma imperiale ed il
popolo ne subiva le conseguenze. L’avvento del cattolicesimo rivalutò invece
enormemente il lavoro come principale fattore dell’economia e primario creatore
di valore, arricchendolo di una dimensione sacrale e corredentrice, ed allo
stesso tempo condannò fortemente l’usura, cioè il diritto del capitale a
rigenerarsi dal nulla attraverso il prestito ad interesse. Il monachesimo
diffuse dovunque il motto “ora et labora”, ponendo appunto il lavoro e la
dimensione spirituale dell’esistenza, e non il capitale, al centro dello
sviluppo economico. Questo consentì
secoli di stabilità e prosperità economica, che incominciarono ad incrinarsi
nel momento in cui, con il Rinascimento, il mondo occidentale iniziò lentamente
ad abbandonare gli insegnamenti morali della Chiesa in campo economico, per
intraprendere ancora una volta la strada della separazione tra capitale e
lavoro. La Firenze di Lorenzo De Medici del XV secolo segna in questo senso il
passaggio di un’epoca: Lorenzo De Medici può considerarsi ad tutti gli effetti
il precursore della figura del banchiere, dell’imprenditore e del politico
moderno, che da una parte trae immensi profitti dalla separazione tra capitale
e lavoro, essendo possessore di capitali, dall’altra cerca di imbonire le masse
con il “panem et circenses”.
Fu poi l’Inghilterra del XVI
sec., con Enrico VIII e la sottrazione delle immense proprietà della Chiesa
Cattolica, che passarono dall’uso comune all’impiego capitalista da parte di
una ristretta cerchia oligarchica di grandi famiglie, svincolato dagli
insegnamenti morali della Chiesa. Ciò segno l’avvio in grande stile di quel sistema economico che si caratterizza per l’assoluta
centralità della separazione tra capitale e lavoro: il capitalismo
Nel 1694 la fondazione della
Banca d’Inghilterra, di proprietà privata, segnò la definitiva conquista del
capitale sullo Stato, in quanto per la prima volta veniva affidata a dei
banchieri privati la proprietà della moneta a corso legale al momento
dell’emissione. Si diede cioè ad un gruppo di capitalisti privati il monopolio
della produzione monetaria ed il diritto di creare questa moneta dal nulla solo
ed esclusivamente come debito dello Stato e dei cittadini. Tale debito,
destinato inevitabilmente a crescere in maniera esponenziale, sarebbe poi stato
ripagato dallo Stato stesso, attraverso le tasse od una restrizione dei servizi
dei pubblici. Il modello della Banca d’Inghilterra fu poi esteso nel corso dei
secoli a tutte le altre nazioni (la creazione nel 1913 della Federal Reserve
rappresenta una tappa importante di questo processo). Si spiega così e solo
così il fatto che in tutto il mondo Stati, imprese e cittadini sono sempre più
indebitati con il sistema bancario. Nel corso dei secoli successivi fu il
liberalismo a dare ulteriore impulso alla separazione del capitale dal lavoro.
Il liberalismo infatti “liberò” il capitale da ogni residuo freno di ordine
morale, consentendone l’ulteriore sviluppo sotto il profilo finanziario. Il turbo-capitalismo
dei nostri giorni, il totale dominio della finanza sull’economia reale, non è
quindi altro l’esito finale di questo processo dalle radici ben più profonde.
Che fare dunque?
E’ inutile cercare di porre
qualche toppa alle continue falle che il sistema capitalistico continua a
presentare. Non si può procedere con una visione miope dei fatti, reiterando
poi sempre e comunque, con una vera e propria coazione a ripetere, gli stessi
errori che sono alla base della grave crisi odierna.
E’ necessario prendere atto che
il capitalismo è fallito perché fallimentare è il principio che sta alla base
della sua prassi operativa: la separazione tra capitale e lavoro.
Bisogna quindi armarsi di buon
senso e ragionevolezza e procedere nella direzione del distributismo, che in
maniera netta e chiara pone l’unione tra capitale e lavoro come uno dei
caposaldi irrinunciabili di ogni ordine economico-sociale che voglia essere equo,
prospero ed umanamente soddisfacente.
Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com
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