Le recenti amministrative ci
mostrano quanto sia desolante il quadro politico italiano.
Il PD della grande alleanza tra
statalismo e banche, in evidente crisi d’identità, viene bocciato dagli
elettori.
Il centro-destra, che mi risulta
sia stato al potere con ben 4 governi, l’ultimo il famoso Berlusconi IV che ha
poco dignitosamente abdicato in favore del governo Monti il 16 novembre 2011,
sembra essere stato resuscitato dalle catacombe durante il recente turno amministrativo
ma è indubitabile che abbia già avuto parecchie occasioni per dimostrare la
validità della propria proposta, fallendo ogni volta miseramente nei fatti.
Credere ancora nello stesso centro-destra vorrebbe dire condannarci ad una
sterile coazione a ripetere.
C’è poi il nuovo che avanza, i 5
Stelle. Si tratta di un movimento fondato da un comico, piuttosto frustrato
dall’essere stato estromesso dalla TV di Stato, e da un grande amico della
finanza internazionale, tale Giancarlo Casaleggio, che, passando recentemente a
miglior vita, ha dato in eredità la sua creazione al figlio. Casaleggio era una
sorta di guru new-age, che vagheggiava che l’umanità fosse alle soglie di una
nuova era, nella quale il supremo strumento di redenzione sarebbe stata la Rete,
proprio l’opposto di quanto il senso comune indicherebbe: se mai dovrebbe
essere l’umanità a redimere la Rete e non viceversa.
I 5 Stelle stanno inoltre
dimostrando nei fatti di essere quello che ciascuno avrebbe potuto prevedere da
queste premesse: un movimento centralistico, privo di una vera e propria
democrazia interna e soprattutto di una visione coesa e ragionevole in grado di
risolvere davvero i gravi problemi che ci affliggono. Alla fine ha mostrato il
suo vero volto, allineandosi con i dettami del mondialismo internazionale
finanziario e non (non parlano più di uscita dall’euro, di rinegoziazione dei
trattati europei, di riforma seria del sistema monetario, di alternative
praticabili al sistema dei partiti, di tutela dell’identità culturale dei territori).
Sullo sfondo emerge poi il
partito dei sindaci, capitalizzando sul successo di singole individualità che,
sganciandosi dal moloch “partitI” e dalle loro ideologie alla deriva, sono
risusciti effettivamente a migliorare un po’ le cose nelle loro città.
Tuttavia, senza una visione generale condivisa e condivisibile su cui basarsi,
questi tentativi sono piuttosto destinati a fare da specchi per le allodole per
il tentativo di riciclaggio dei vecchi matusa di periferia della politica
nostrana, che subodorano il crollo del carrozzone su cui si trovano e cercano
disperatamente alloggio su carri più vincenti.
Di fronte a questa tetra
situazione, il distributismo propone una cosa molto semplice: il ritorno al
senso comune.
Centro-sinistra e centro-destra
hanno fallito non perché i suoi esponenti siano tutti brutti, sporchi e
cattivi, o perché siano tutti moralmente corrotti – potremmo parlare in questo
caso di una qualificata maggioranza relativa - ma semplicemente perché i
contenuti che hanno tentato di realizzare non sono stati in grado di
intercettare il reale.
Entrambi infatti hanno lasciato
del tutto invariati i mali strutturali che continuano a produrre malessere
economico-sociale. Questi mali secondo il distributismo sono:
-
Una politica economica che ha perso di vista la
centralità della famiglia e si è supinamente piegata al diktat
capitalistico-statalista secondo cui il fine ultimo dell’economia non è appunto
il benessere della famiglia ma la massimizzazione dei profitti all’interno di
un generale “laissez faire”.
-
Una politica economica che ancora una volta si è
piegata al diktat capitalistico-statalista secondo cui è buono e giusto che
capitale e lavoro siano separati. Non importa se il capitale sia nelle mani di
pochi capitalisti privati o dell’apparato burocratico dello Stato, l’importante
è che non sia nelle mani dei lavoratori, che la proprietà produttiva non sia
diffusa: questo sembra essere il dogma che unisce la destra e la sinistra di
oggi.
-
Il sostegno pervicace all’assioma secondo cui il
sistema dei partiti è il migliore dei sistemi di rappresentanza esistenti per
affermare la democrazia, la continua ed inesorabile a sottrazione di poteri
reali ai cittadini, negando ogni spazio significativo di azione ai tanti corpi
intermedi che nascono spontaneamente sul territorio.
-
L’accettazione passiva del sistema monetario del
denaro-debito, che sta letteralmente consumando di debito il corpo sociale ed
soffocando le sane risorse e le iniziative economico-imprenditoriali dei
territori, attraverso i mali del tutto artificiali delle tasse esose, del
debito pubblico e del debito privato.
Di fronte a
questo stato di fatto, il distributismo non pretende di avere soluzioni
miracolistiche e millenaristiche, tantomeno di poter realizzare il paradiso in
terra, pretende solamente di applicare seriamente il senso comune ed
incominciare fin da ora a cambiare marcia, attraverso l’attuazione, ai vari
livelli istituzionali, di quattro direttive principali:
-
Rimettere al centro dell’economia la famiglia,
basata sull’unione matrimoniale tra un uomo ed una donna aperti alla
procreazione responsabile. Una sana economia non si misura solo dai numeri del
PIL ma soprattutto dal grado di benessere, autonomia e capacità di
autosostentamento della famiglia. Tutte le leggi e normative economiche
dovranno pertanto perseguire tale obiettivo.
-
Puntare all’unione di capitale e lavoro, creando
le condizioni per cui tutti coloro che lo vogliano e ne abbiano le capacità
diventino proprietari dei mezzi di produzione. In questo modo si potrà diffondere
al massimo la proprietà produttiva e si creeranno i presupposti per un
equilibrio ed una vera prosperità economico-sociale
-
Puntare alla riacquisizione di potere reale da
parte dei cittadini, aggregandoli sui territori non in base alla classe od
all’ideologia di appartenenza ma in base alla funzione sociale svolta
(principio corporativo). Per esempio, per quanto riguarda la salute mentale, si
potrà creare una Gilda della Salute Mentale che comprenderà tutti gli operatori
ed i cittadini a vario titolo coinvolti in questo settore. Tali aggregazioni,
funzionanti secondo un principio interno democratico, dovranno essere dotate
del potere di discutere ed decidere le questioni economico-sociali più
importanti legate al proprio proprio ambito.
-
Liberare il denaro dal debito, ridando alle
istituzioni pubbliche – Stato, regione, comune – e direttamente ai cittadini la
proprietà della moneta al momento dell’emissione, in modo da mettere
definitivamente fine alle piaghe del debito pubblico e privato ed alle tasse
esose e restituire la moneta alla sua funziona primigenia di strumento volto
all’incremento degli scambi e quindi al massimo sviluppo delle potenzialità
produttive del territorio.
In sintesi
quindi sono queste le quattro colonne portanti del distribustismo: famiglia,
unione tra capitale e lavoro, il principio corporativo contro la partitocrazia
ed un denaro libero da debito.
Riteniamo
quindi che oggi più che mai sia giunta l’ora, per tutti coloro che credono
convintamente nei principi distributisti, di uscire dal proprio guscio e
scendere in campo, partecipando alla discussione politica e cercando di
incanalare il consenso degli italiani. Non è più il momento delle discussioni
da salotto, è il momento di confrontarsi con la realtà e cercare di incidere
profondamente e positivamente su di essa.
Per questo è
stato creato, da un gruppo di liberi cittadini, il Movimento Distributista
Italiano (distributismomovimento.blogspot.com).
Il nostro è
uno sforzo immane, una battaglia dove le nostre forze appaiono al momento minoritarie,
ma siamo convinti che il senso comune, radicato nel cuore di ogni uomo, una
volta stimolato, possa produrre frutti insperati; in altre parole, siamo
convinti che esista ancora quella famosa maggioranza silenziosa, stufa di
essere trascinata qui e là da una minoranza molto attiva ma poco aderente al
reale, e che tale maggioranza silenziosa sia pronta invece a dare il proprio
consenso a proposte basate sulla retta ragione.
Chiediamo
pertanto a soci, amici e simpatizzanti di sostenerci in maniera concreta. Le
forme per farlo sono tante: chi vuole si può iscrivere al Movimento
Distributista Italiano (costa solo 20 euro all’anno, 1,6 euro al mese!), fare
una donazione o creare un gruppo MODIT (bastano solo tre persone) sul proprio
territorio.
La battaglia è
appena iniziata e il suo esito dipende solo dalla nostra tenacia e
perseveranza!
Non sappiamo
se vinceremo ma certamente che continueremo a dare la nostra testimonianza di
verità.
Per ulteriori
informazioni:
distributismomovimento.blogspot.com
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