Siamo alla vigilia delle
elezioni politiche ed i vari partiti si stanno sforzando di
intercettare il consenso della gente proponendo soluzioni ai gravi
problemi che ci attanagliano. Allo stesso tempo la gente sembra aver
perso fiducia nelle promesse dei partiti e si profila sempre più la
vittoria dell'astensione e del non voto.
Che cosa sta succedendo?
Nulla di particolarmente strano, semplicemente la realtà si sta
imponendo sulla sterile retorica e sulla cronica incapacità dei
nostri politici di cogliere il reale.
Di Maio ha annunciato che
i provvedimenti urgenti del suo ipotetico governo saranno quelli di
tagliare a metà gli stipendi dei parlamentari e togliere i vitalizi
ai politici, facendo intendere che la vera causa della crisi sono gli
sprechi e la corruttela dei politici stessi; Salvini propone la flat
tax al 15%, facendo intendere che la vera causa della crisi sia la
tassazione eccessiva che affossa l'economia; Renzi propone uno
statalismo alleato al capitalismo; il centro-sinistra propone più
statalismo, facendo intendere che la vera causa della crisi sia il
liberalismo selvaggio.
In tutte queste posizioni
c'è una parte di verità ma una parte molto limitata e parziale e
nessuna è in grado di individuare la realtà così com'è: per
questo sono tutte destinate a fallire.
Tali proposte colgono
solo aspetti collaterali e quantitativamente insignificanti (spreco e
corruttela dei politici indicati dai 5 Stelle), altre colgono solo le
conseguenze senza indicare le vere cause della crisi (tassazione
eccessiva indicata della Lega), altre individuano una possibile causa
(liberismo esasperato), suggerendo come soluzione un male peggiore e
già sepolto dalla storia (statalismo).
Che fare dunque?
Semplicissimo! Rimanere
adesi al reale! Cosa ci dice la realtà?
Ci dice che oggi esiste
un tipo di denaro che viene prodotto dal nulla esclusivamente come
debito di Stati e cittadini verso il sistema bancario. Tutti possono
avere la conferma di questo dato inoppugnabile, semplicemente
prendendo in mano una qualsiasi banconota di euro e leggendo la firma
del suo proprietario: troverete Mario Draghi, governatore della Banca
Centrale Europea e non Repubblica della Stato Italiano.
Benissimo. Vediamo quali
sono le conseguenze, inevitabili ed ineluttabili, di questo fatto.
Se tutta la moneta è
prodotta come debito di Stati e cittadini verso il sistema bancario,
con tanto di interesse, si deduce che Stati e cittadini saranno
obbligati ad indebitarsi verso il sistema bancario.
Ciò vuol dire che quando
lo Stato ha bisogni di soldi per opere pubbliche o singoli cittadini
vogliono intraprendere iniziative economiche, potranno farlo in un
solo modo: appunto indebitandosi verso il sistema bancario! Dal punto
di vista dello Stato ciò vuol dire due cose: incrementare il debito
pubblico od incrementare le tasse, tertium non datur. Dal punto di
vista del cittadini vuol dire invece aumentare i debiti privati ed
essere soggetti a sempre più privazione di servizi pubblici od ad
una tassazione sempre più esosa. Si instaura così una spirale
perversa da cui è impossibile uscire. Questo scenario vi ricorda
qualcosa?
Tutto questo
ragionamento, ma meglio sarebbe dire questa lucida ed obiettiva
analisi dei fatti, richiede un chiarimento di fondo. Bisogna
innanzitutto capire che cosa sia la moneta, quale siano le sue
funzioni e soprattutto chi ne deve essere il proprietario al momento
dell'emissione.
La moneta è
essenzialmente una convenzione umana – esisterebbe forse la
funzione monetaria in assenza di persone?– finalizzata alla
misurazione del valore delle cose ed alla facilitazione degli scambi.
La moneta è quindi uno strumento di misura e di scambio ma allo
tempo è anche un valore, in quanto possedendo la moneta ottengo il
potere di effettuare acquisti.
Si pone allora il
problema centrale: chi può produrre denaro e, soprattutto, chi deve
esserne il proprietario al momento dell'emissione?
Essendo il denaro una
convenzione che, per funzionare, deve essere universalmente
accettata, in qualunque contesto geografico e temporale l'umanità ha
sempre avvertito l'importanza di associare la gestione della moneta
all'autorità competente per l'amministrazione del bene comune.
Storicamente inoltre le varie comunità, a secondo del loro livello
di organizzazione interna, hanno deciso convenzionalmente di
attribuire valore monetario a diverse entità, materiali, simboliche
o numeriche. La differenza fondamentale sta nel fatto se tali entità
debbano o no avere un valore intrinseco. Per esempio, per molti
secoli la civiltà occidentale decise di conferire valore monetario
all'oro, per cui solo l'autorità pubblica che possedeva oro era in
grado di produrre moneta e possederla all'atto dell'emissione. Ciò
poteva andare bene in una economia basata essenzialmente
sull'agricoltura, in cui gli scambi monetari erano ridotti e la
maggior parte della gente poteva anche adattarsi a scambi in natura
ma divenne un problema nel momento in cui il rapporto tra quantità
di oro esistente e quantità di moneta richiesta divenne
insostenibile. Con l'affermarsi del prestito ad interesse e della
riserva frazionaria, a partire dal XIV secolo, i banchieri trovarono
il modo di ovviare a questo problema, utilizzando l'oro come riserva
ma non in un rapporto 1 a 1, bensì in un rapporto molto più basso,
1 a 10, 100, 1000. Il passaggio è molto semplice e basato
sostanzialmente su una truffa: quando la gente depositava oro nelle
banche, riceveva in cambio una “nota di banco” in cui veniva
“annotato” l'importo di oro depositato. Poichè tali “note di
banco” o banconote erano pià facili da trasportare e scambiare, la
gente incominciò ad utilizzare tali “note” come monete,
lasciando l'oro nelle banche. I banchieri, scaltri e furbi, si
accorsero che solo una minima percentuale di persone veniva a
richiedere l'oro depositato e così penso bene di emettere altre
“note di banco”, coperte dall'oro che in realtà le banche non
possedevano, quindi sostanzialmente non coperte, questa volta come
prestito verso terzi. Il rapporto tra “banconote” ed oro
incominciò così a crescere ed i banchieri ad arricchirsi senza fare
niente. Da notare che tale pratica perversa non si sviluppò finchè
la cristianità rimase fedele al mandato di non praticare usura, cioè
prestito ad interesse, e che all'inizio prese piede soprattutto in
ambienti culturali-religiosi ebraici perchè il giudaismo era l'unica
religione che permetteva la pratica del prestito ad interesse, anche
se limitata a non correligionari. Nel 1694, con la fondazione della
Banca d'Inghilterra, la gestione della moneta, per una serie di
passaggi storico-economici che sarebbe troppo lungo descrivere qui,
passò poi definitivamente in mano ai privati, e le banconote emesse
da tali banchieri privati divennero moneta a corso legale.
Nel 1971 infine il
presidente americano Nixon dichiarò definitivamente decaduta ogni
corrispondenza tra l'oro e il denaro e da allora ogni moneta è
diventata “fiat money”, cioè una realtà creata dal nulla.
Oggi quindi il denaro è
privo di qualsiasi valore intrinseco, eccettuato quello irrisorio
legato alla produzione di carta, assegni od input elettronici.
Diventa quindi essenziale
stabilire a chi spetti la proprietà della massa monetaria al momento
della sua creazione e qui non possiamo altro che rifarci alla
ragionevolezza, al senso comune ed ai minimi principi di equità e
giustizia sociale.
Il ragionamento è
semplice: poiché la moneta è una convenzione ed il suo valore le
viene conferito dalla gente nel momento in cui la accetta, l'unico
proprietario legittimo della moneta stessa quando questa viene
prodotta può e deve essere uno ed uno solo: il popolo. Nessun altro
settoriale corpo sociale o entità statale è titolata a possedere la
moneta al momento della sua emissione. Il nuovo denaro, quando si
riscontrasse la necessità della sua emissione in relazione alla
quantità di beni presenti sul territorio, andrebbe quindi
accreditato a ciascun cittadino su un conto personale. Unica
eccezione sarebbe quella dell'accreditamento diretto a manodopera o
lavoratori per lo svolgimento di un numero essenziale e rigidamente
controllato di opere o servizi pubblici. Per mantenere l'euflazione –
cioè il giusto rapporto tra beni e denaro e quindi la stanbilità
del potere di acquisto della moneta, senza inflazione o deflazione –
sarebbe sufficiente condizionare l'emissione di nuova moneta alla
quantità di beni presenti, incentivando la circolazione monetaria
stessa e sfavorendo il suo accumulo improduttivo. Il prestito ad
interessi, pretestuoso tentativo di rendere fecondo ciò che per
natura non lo è – il denaro -, andrebbe abolito. Chi volesse
prestare denaro potrebbe richiedere in cambio, oltre alla somma
originaria, soltanto un minimo rimborso spese per i costi della
pratica e/o un minima percentuale sui profitti eventualmente ottenuti
dall'investimento. Ciò è quello che accade oggi con la finanza
islamica, che considera usura il prestito ad interesse, come
d'altronde avveniva anche nel cattolicesimo fino ad un molto
discutibile aggiornamento, avvenuto quasi impercettibilmente a
partire dal XIV secolo.
Quanto questo principio
sia aderente ai basilari valori di giustizia sociale, emerge in
maniera eclatante se facciamo riferimento al gioco del monopoli. In
questo gioco al tempo zero, all'inizio della varie attività di
scambio, la moneta viene equamente divisa tra tutti i partecipanti
perchè si conviene implicitamente che essa rappresenti appunto
quello che è, cioè uno strumento convenzionale finalizzato allo
scambio, alla misura del valore delle cose ma anche al tempo stesso
dotato di un suo valore, il potere di acquisto. Se all'inizio del
gioco un partecipante dicesse: “bene signori, possiamo
incominciare; però ho deciso che il denaro lo tengo tutto io e
quando voi ne avrete bisogno me lo chiederete ed io valuterò di
volta in volta, a mio insondabile giudizio, quanto crearne dal nulla
ed a chi imprestarlo. Sia chiaro che poi voi me lo dovrete restituire
con tanto di interesse e se non lo farete io verrò a requisirvi i
beni che nel frattempo voi avrete prodotto o scambiato”. La
reazione di qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso non
potrebbe altro che essere quella di considerare tale offerta come una
battuta di spirito o la manifestazione di un manifesto disagio
mentale.
Eppure questo è
esattamente, ed incredibilmente, quello che accade oggi.
Il denaro che noi
utilizziamo – sia banconote sia denaro virtuale elettronico –
nasce dal nulla solo ed esclusivamente come proprietà del sistema
bancario privato che ce lo impresta con tanto di interesse.
Capite bene le
conseguenze di questa situazione. Paradossalmente ogni ripresa
economica, basata sull'espansione monetaria, non è altro che
un'espansione di debito, il quale prima o poi dovrà essere
restituito con gli interessi alle banche. Se tutto il debito venisse
restituito non ci sarebbe più denaro, rendendo la cosa impossibile!
Ecco quindi la perenne instabilità economica ed il ripetersi
ineluttabile di crisi e false riprese. Lo stesso accade per lo Stato:
se si deve costruire un ponte od un ospedale, i soldi necessari
costituiscono un debito verso le banche, anche qui con tanto di
interessi, che lo Stato potrà restituire solo attraverso le tasse o
la riduzione di altri servizi. E' una gabbia da cui non si può
uscire. Stato e cittadini sono quindi condannati ad una disastrosa
quanto artificiale sottomissione al debito bancario, che costituisce
la vera e principale cause di tutti i nostri gravi problemi
economico-sociali, i quali sono a loro volta tutti collegati tra di
loro: disoccupazione, precarietà lavorativa, emigrazione forzata,
pensioni basse, calo della natività, chiusura delle piccole aziende,
assenza di validi servizi pubblici, perdita del potere di acquisto.
Risulta patetico,
rivoltante, grottesco e quasi insultante l'atteggiamento di coloro
che, soprattutto se responsabili del bene comune, di fronte a questa
eclatante perversione monetaria, insistono nel sostenere che le cause
della crisi siano prevalentemente altre. Il loro fallimento, il
fallimento di tutti politici nel corso degli ultimi 70 anno, non
dipende solo e principalmente dal fatto che non abbiano buona volontà
ma dal fatto non colgano nel segno quale sia il vero problema,
ingannando se stessi e la gente. Eppure non ci vorrebbe tanto,
basterebbe applicare la propria ragione al reale, mantenersi fedeli
al principio di identità e non contraddizione, che Aristotele aveva
indicato un paio di millenni fa come il fondamento di ogni civiltà
che voglia definirsi veramente tale.
Ritornando al discorso
iniziale delle elezioni, chi votare dunque?
Penso che, alla luce di
quanto sopra esposto, ogni cittadino abbia gli strumenti per decidere
nel migliore dei modi.
Siamo inoltre consapevoli
che la questione monetaria vada inserita all'interno di una cornice
più ampia, che tenga presente anche di altri punti ugualmente
essenziali, i quali però rischiano di non poter essere mai essere
attuati finchè il sistema bancario continuerà a mantenere la
proprietà della moneta e con esso il potere reale di condizionare
ogni aspetto della realtà. Si tratta della tutela della famiglia
tradizionale, dell'unione tra capitale e lavoro (superamento di
capitalismo e social-comunismo) e della restituzione del potere ai
cittadini attraverso l'aggregazione in associazioni per comparto
lavorativo (superamento del sistema dei partiti).
Il Movimento
Distributista Italiano, che appoggia convintamente questa linea, non
si presenta a questa tornata elettorale e ritiene il non voto come la
scelta più opportuna ma allo stesso invita tutti i cittadini di
buona volontà ad aderire numerosi alle sua fila ed a creare gruppi
sui vari territori, in modo che si possano valutare insieme le
modalità ed i tempi per riuscire ad incidere al più presto in
maniera costruttiva sul reale.
Per informazioni ed
adesioni
distributismomovimento.blogspot.com
movimentodistributista@gmail.com
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