martedì 13 ottobre 2015

MARINO E LA PARTITOCRAZIA: LA NECESSITA' DI UNA SVOLTA CORPORATIVA

MARINO E LA PARTITOCRAZIA: LA NECESSITA DI UNA SVOLTA CORPORATIVA

Marino si è dimesso, tra le polemiche e le invettive incrociate del PD, dell'opposizione e di Marino stesso. Sullo sfondo c'è mafia capitale, che ha disvelato, se ancora ce ne fosse bisogno, la rete di malaffare, corruzione, concussione, abuso d'ufficio che ha caratterizzato le amministrazioni capitoline di qualunque colore - rossa, nera e bianca - nel corso dei decenni. Ancora più sullo sfondo, i cittadini romani, esasperati e sempre più disillusi e sfiduciati, pervasi da un collettivo senso di impotenza e di rabbia,  consapevoli che il loro legittimo disagio non potrà altro che  incanalarsi  solo nel supportare l'ennesimo “deus ex machina” o salvatore della patria, che verrà proposto loro dalle segreterie di qualche partito.  Il gioco si ripete, inesorabile, da decenni. Non voglio qui entrare nel merito della questione Marino – incapace, inadatto od  eroe anti-casta, uomo onesto? - proprio perchè entrare nei dettagli significherebbe perdere il quadro di insieme ed accettare la vulgata generale proposta all'opinione pubblica per cui il problema sarebbe il singolo politico e non il sistema di rappresentanza parlamentare istituito dal sistema dei partiti.
La situazione amministrativa della capitale riassume bene quello che avviene fin nella più remota provincia italiana: tra cittadini e politici c'è un abisso, non più colmabile. I cittadini furbi cercano pertanto di avvicinarsi ai centri di potere e lucrarne quanti più vantaggi possibili, in tutti i modi percorribili, leciti e no; i cittadini onesti – la maggioranza – subiscono inerti od emigrano.

Il paradosso di questa situazione è che i politici ed i cittadini furbi sono la minoranza, mentre i cittadini onesti sono la maggioranza. Come è possibile che, in un regime democratico, la maggioranza soccomba alla minoranza? Non si dovrebbe piuttosto chiamare oligarchia un sistema del genere?
Una spiegazione di questo fenomeno apparentemente incongruo ci viene dal pensiero distributista, che già nel 1912, con il libro “Partitocrazia”  di Cecil Chesterton ed Hillaire Belloc, aveva colto l'essenza del problema e proposto una soluzione.
La questione è semplice: viviamo in un sistema caratterizzato da un'ipocrisia generalizzata in cui le parole hanno perso il loro valore comunicativo e sono diventate mero strumento di propaganda. Chesterton e Belloc, con uno sguardo profetico che è oggi di estrema attualità, ci fanno notare che il sistema partitico, lungi dal realizzare una democrazia partecipata, rappresenta lo strumento privilegiato dell'oligarchia finanziaria e plutocratica (= basata sul potere dei soldi) per imporre la propria agenda. Come funziona questo strumento? E' presto detto, anche perchè trattasi di un segreto di Pulcinella sotto gli occhi di tutti. I politici che contano, quelli destinati ad essere messi nei posti di potere, vengono accuratamente selezionati e cooptati all'intero di una cerchia ristretta di servitori degli interessi di questa oligarchia finanziaria e capitalista, detentrice del potere reale, indipendentemente dallo schieramento a cui appartengano. L'ipocrita apparenza democratica è così garantita, come è garantito che chiunque vinca non mancherà di essere fedele all'oligarchia imperante. Il cittadino si ritrova così nell'assoluta impossibilità di prendere parte alle decisioni circa le importanti questione concrete che lo riguardano, nel momento stesso in cui gli si dice che ha raggiunto la sua piena e massima emancipazione politica democratica: un messaggio schizofrenico ed in quanto tale paralizzante.
Il vero problema non è quindi la decadenza morale della classe politica - fatto comunque incontestabile - ma la protervia e l'arroganza dell'oligarchia finanziaria e capitalista che è riuscita con le armi della propaganda ad imporre un sistema in cui i cittadini sono stati desautorati di ogni potere reale, un sistema che ha come effetto collaterale quello di aver creato un classe di saprofiti sociali – amministratori pubblici e imprenditori senza scrupoli – che semplicemente tentano di approfittare delle bricioline finanziarie che cadono dal tavolo dei veri commensali.
Qual'è la soluzione proposta dal distributismo, a cui già si appellavano Chesterton e Belloc durante la grave crisi economico-sociale degli anni '30 del secolo scorso?
Ridistribuire il potere alla gente, creando della aggregazioni sociali per ciascuno comparto lavorativo, in cui i cittadini, in base alle rispettive competenze, possano partecipare alle decisioni più importanti che riguardano la propria vita socio-lavorativa (qualità dei prodotti e prestazioni fornite, onorari minimi e massimi, codici comportamentali, previdenza sociale e pensionistica, formazione professionale, regolazione della concorrenza): si tratta cioè di reintrodurre il principio corporativo, così avversato e demonizzato dalla propaganda dei mass-media, che anzi diffondono il mantra della liberalizzazione quale panacea di tutti i mali, mistificandone la vera natura: La liberalizzazione infatti costituisce il vero e proprio chiavistello del capitale apolide nazionale ed internazionale per imporre il proprio dominio sul lavoro. In questo senso capitale e lavoro, invece che combattersi, con l'esito scontato della vittoria del capitale sul lavoro, vanno riconciliati puntando alla loro riunione nelle singole persone in carne ed ossa, favorendo in tutti i modi possibili che chi lavora possa anche diventare proprietario dei mezzi di produzione.

In sintesi: passato Marino, non illudiamoci che dopo di lui giunga chi possa risolvere i problemi di Roma. Incominciamo a fare quello che possiamo, cioè a creare dal basso le corporazioni dell'edilizia, del trasporto, dell'educazione scolastica ed universitaria, del turismo, della sanità  e di tutti gli altri comparti lavorativi e lasciamo che le potenzialità costruttive e le energie dei romani, così come di tutti gli italiani, si possano esprimere e trasformare in decisioni, atti, provvedimenti, scelte in grado di creare le vere ricchezze, quelle che si basano sul lavoro e le capacità creative delle singole persone e non sulle speculazioni finanziarie di una casta di banchieri in grado di controllare con il denaro il teatrino della politica.

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