L’opinione pubblica nel frangente
attuale ondeggia tra una serie di stati d’animi, tutti purtroppo negativi: confusione,
rabbia, mancanza di fiducia nella politica, impotenza.
La disperazione dovuta ad
un’oggettiva difficile condizione socio-economica porta inevitabilmente a
fidarsi ciecamente del primo venuto, in Italia per esempio figure come Renzi o
Beppe Grillo, negli Stati Uniti Obama o Trump; figure intercambiabili,
presentate necessariamente come l’una l’opposto delle altre, per dare
l’impressione di un cambiamento vero, radicale, per generare sterili polemiche
e superficiali contrapposizioni ma in realtà accumunate da un granitico
elemento in comune: il non mettere in discussione il sistema di gestione e
spartizione del potere attuale, basato sulla truffa del denaro-debito, ed anzi
consolidarlo, senza mai osare anche solo mettere in discussione i suoi dogmi.
Il sistema del denaro-debito non
è un’opinione, è un fatto. Consiste in un meccanismo di creazione della moneta.
Oggi, per convenzione frutto di mercanteggiamenti plurisecolari, il denaro
nasce solo ed esclusivamente di proprietà del sistema bancario privato, come
debito di cittadini e Stati verso il sistema bancario stesso.
Conseguenza ineluttabile:
l’indebitamento esponenziale ed inesorabile di tutto il corpo sociale – Stati e
comunità civile – verso il sistema bancario stesso. Il debitore poi, si sa, si
trova sempre in una condizione di subalternità e dipendenza rispetto al
creditore, che ne condiziona e limita significativamente gli spazi di libertà.
Come possiamo constatare, infatti,
oggi le politiche economiche non vengono più decise dai politici ma dai
governatori delle banche centrali, che agiscono per legge in piena e totale
autonomia rispetto al corpo elettorale ed ai governi stessi.
Non solo. Come fa il sistema
bancario ad imporre alla popolazione di pagare l’immenso ed artificiale
fardello debitorio creato dal denaro-debito? Semplice: si serve dello Stato,
che di fatto rappresenta il principale agente di riscossione debiti per conto
del sistema bancario stesso.
Il meccanismo nasce in
Inghilterra nel 1694 e da allora è stato sempre portato avanti con successo,
ovviamente nell’ombra e contando sull’ignoranza dell’opinione pubblica.
Il re Guglielmo III d’Orange, che aveva bisogni di prestiti per le
varie guerre che stava conducendo, concesse ai banchieri privati londinesi e
delle Fiandre, prevalentemente ebrei, in cambio di un prestito di 1 milione di
sterline in oro all’8%, di creare pezzi di carta dal valore intrinseco quasi
zero chiamate banconote – la sterlina appunto
–, accettando tale “moneta” come valuta legale del regno. Le sterline sarebbero
state di proprietà dei banchieri ed imprestate, con tanto di interessi, allo
Stato ed ai cittadini. Il re contemporaneamente si impegnò ad imporre ai propri
sudditi una serie di tasse sulla proprietà e sul commercio – prima inesistenti
– per assicurare i banchieri che il debito sarebbe stato ripagato.
In realtà successe che il re non
riuscì mai a ripagare il debito originario, perché tale debito, con l’interesse
composto e la necessità di altre spese, crebbe in maniera vertiginosa, come in
maniera vertiginosa crebbero le somme che il re dovette continuamente
restituire ai banchieri per pagare gli interessi. Si incrementò così sempre più
l’imposizione fiscale, pur senza riuscire a liberare mai lo Stato dalla
schiavitù del debito. Fu l’inizio del debito pubblico e della schiavitù dei
popoli.
Vi ricorda qualcosa? Vi aiuta
questo a capire come mai, pur versando oggi i cittadini il 70% di tasse
complessive, lo Stato è sempre indebitato e deve sempre più limitare le risorse
per i servizi pubblici?
Il denaro-debito non è
un’astrazione concettuale ma un reale meccanismo di produzione monetaria che
arriva direttamente nelle vostre tasche, a sottrarvi, attraverso lo Stato,
quando avete onestamente guadagnato.
Si può pertanto affermare senza
tema di smentita che viviamo nel peggiore dei sistemi schiavisti, quello
dell’usurocrazia, cioè del potere dell’usura, dove per usura si intende il
prestito a qualsiasi interesse, anche minimo; un’usurocrazia saldamente detenuta
nelle mani di un elite economico-finanziaria che, con i possenti mezzi a sua
disposizione (giornali, radio, TV, stampa) ci vuole invece convincere, malgrado
tutte le evidenze, che viviamo in un regime di piena democrazia, cioè di potere
detenuto dal popolo.
La vera lotta che si sta
compiendo davanti ai nostri occhi non è quindi quella tra destra, sinistra,
centro, né quella tra progressisti e conservatori, ma quella tra il lavoro e
l’usura.
Di cosa si tratta? Presto detto.
Si tratta di due visione opposte
ed incompatibile dell’economia e del vivere civile in generale.
Chi è per il lavoro sostiene che
il lavoro stesso, cioè la produzione umana di beni e servizi, secondo le
competenze e le capacità dei singoli e dei gruppi, debba essere il fattore
centrale e fondante dell’economia, in funzione del quale si articoli tutto il
resto del comparto sociale. La qualità e quantità del lavoro svolto dovrebbe
essere la principale fonte di guadagno e di reddito, mettendo al bando ogni
forma speculativa finanziaria. Lo sviluppo del lavoro è a costo zero, nel senso
che non richiede, per esplicarsi, altro che la disponibilità umana del singolo
soggetto ad incrementare al massimo, entro i limiti di una qualità della vita
accettabile, le sue capacità produttive. Il lavoro non è solo quantità ma anche
qualità, essendo il prodotto della persona, e quindi dovrebbe essere regolato,
nei suoi multiformi aspetti, attraverso un processo decisionale democratico e
basato sulle competenze. In funzione dello sviluppo e del mantenimento della
dimensione umane del lavoro andrebbero impostate tutte le politiche monetarie e
fiscali.
Chi è per l’usura, all’opposto,
ritiene invece che il fattore centrale dell’economia debba essere il denaro ed
il prestito ad interesse, per cui è buono e giusto che la moneta, di per sé
sterile, produca altra moneta. In virtù di questo principio fondante, di per sé
contro-natura, cioè il rendere fecondo artificialmente ciò che di per sé non lo
è, si producono una serie di conseguenze altrettanto contro-natura: il lavoro
viene subordinato al denaro, l’economia reale viene subordinata alla finanza,
con il risultato finale di un di un sostanziale impoverimento ed abbassamento
qualitativo dell’attività lavorativa ed il parallelo crescere esponenziale di
un mondo virtuale, quello appunto della finanza, che controlla e dirige il
mondo reale.
Si giunge quindi al paradosso,
che fa parte della nostra cronaca quotidiana, che un elite di banchieri
privati, proprietari delle banche centrali e commerciali, siano in grado di
controllare pressochè tutte le attività umane, condizionando in maniera
sostanziale e decisiva ogni scelta politica.
Si giunge al paradosso che il
lavoro non è più lo strumento privilegiato attraverso cui l’uomo realizza se
stesso, mantiene dignitosamente la propria famiglia e contribuisce al bene
comune ma diventa un mero mezzo di sopravvivenza, un’attività servile svolta
per conto ed a profitto di altri.
Che fare dunque?
Il distributismo non ha dubbi e
propone una visione economico-sociale-politica coerente, articolata, sensata ed
attuabile che ha alla sua base il concetto di porre il denaro al servizio del
lavoro, di restituire il potere reale ai cittadini organizzati per comparto
lavorativo, di diffondere al massimo la proprietà produttiva, di tutelare la
famiglia come elemento cardine insostituibile della società.
Uscire dalla crisi quindi si può,
anche in maniera rapida. Basta avere le idee chiare su come farlo, agendo a
tutti i livelli – comunale, ragionale, statale, europei – attraverso
appropriati strumenti legislativi.
Bisogno solo avere il coraggio di dire le cose come stanno,
di opporsi risolutamente al dogma dell’usura e del denaro-debito, di dare a
tutte le persone di buona volontà che hanno risolutamente deciso di non mettere
il proprio cervello al macero e di rimanere invece fedeli al reale, una
prospettiva comune e costruttiva: il distributismo.
Per informazioni ed adesioni:
distributismomovimento.blogspot.com
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