Gli agricoltori siciliani sono sul
piede di guerra. L'accordo Comunità Europea-Marocco consentirà
allo Stato africano di importare i suoi prodotti alimentari nei
mercati europei senza più dazi.
I prodotti alimentari marocchini
costano di meno rispetto a quelli italiani, portoghesi, greci o
spagnoli per il fatto che il costo del lavoro - e le relative
garanzie – in Marocco sono molto più basse, come molto inferiori
sono tutte le procedure – costose – che controllano la qualità e
la salubrità del cibo messo in vendita.
In cambio di questo “favore” il
Marocco ha accettato di importare “liberamente” merci industriali
europee.
Parlamentari italiani ed europei degli
schieramenti di governo hanno votato in massa questi provvedimenti.
La vicenda è esemplare, paradigmatica.
Si tratta della globalizzazione, fortemente voluta dal potere
economico-finanziario mondialista, dai grandi think tank apolidi
quali il gruppo Bildelberg, la fondazione Aspen, il Council of
Foreign Relations, la Fondazione Rochefeller – solo per citarne
alcuni – che impongono ai politici-fantoccio la loro precisa linea
di politica-economica: liberalizzare i mercati, abbattere ogni misura
di controllo, distruggere ogni argine allo circolazione del denaro e
delle merci.
Benissimo! - continuano a ripetere con
insistenza monotona i vari mass-media, anch'essi saldamente nelle
mani di quel 1-2% della popolazione che sta concentrando nelle sua
mani tutte le ricchezze della terra.
Malissimo! - invece, diciamo noi.
Perchè malissimo? Semplicemente perchè
questo tipo di politica-economica non ha senso, è destituita di ogni
fondamento razionale.
Facciamo un semplice ragionamento:
abbattiamo ogni dazio con il Marocco; in questo modo i prodotti
alimentari marocchini, meno costosi, invaderanno il mercato europeo,
mandando in crisi il settore agricolo europeo, soprattutto quello dei
piccoli produttori, delle piccole aziende famigliari, non più in
grado di “competere”. In cambio i prodotti industriali europei
invaderanno il mercato marocchino, producendo un effetto simile, cioè
l'ulteriore crisi del settore industriale marocchino, già in stato
di avanzato declino. Avremo quindi un Europa che da una parte
produrrà sempre meno cibo per la propria popolazione – e quel poco
cibo sarà sempre più nelle mani di rari “grandi” produttori-
dall'altra avrà sempre più “grandi” industriali in grado di
esportare su scala globale, con progressiva scomparsa
dell'artigianato e della piccola industria famigliare, non
organizzata per esportare sui mercati esteri. In Marocco invece
avremmo da una parte sempre più dei “grandi” produttori
alimentari, anche loro in grado di esportare all'estero, che
lucreranno enormi somme su una manodopera a basso prezzo, dall'altra
un'inesorabile progressiva estinzione del già flebile settore
artigianale-industriale locale, sopraffatto dai prodotti europei. La
cosa può durare, è stabile e genera prosperità? No, perchè, come
già detto, il meccanismo che consente tale fenomeno è il basso
costo del lavoro e la debolezza delle industrie locali in Marocco,
due fattori di per sé negativi. Negativo il basso costo del lavoro
perchè condanna milioni di persone ad una vita precaria ed al limite
della sopravvivenza, negativa l'assenza di industria perchè limita
strutturalmente l'apertura di altri settori occupazionali e rende
dipendente quell'area geo-politica dalle importazioni.
Il meccanismo inoltre è autolimitante:
dove troveranno i marocchini i soldi per comprare i beni prodotti dai
“grandi” europei? Se si mantiene infatti il basso costo del
lavoro, non avranno denaro sufficiente, se si alza il costo del
lavoro ed i salari, verrà meno il vantaggio commerciale dei prodotti
marocchini e tutto il sistema franerà. E' già successo. Sta
succedendo adesso con la Cina: abbiamo “delocalizzato” in Cina
perchè il costo del lavoro era più basso, depauperando dal punto di
vista occupazionale e quindi del potere d'acquisto il mondo
occidentale, ed ora non abbiamo più un mercato in grado di comprare.
Altrettanto negativo lo scenario in
Europa: le regioni mediterranee, a vocazione prettamente agricola,
verranno ulteriormente impoverite, venendo colpite ancora una volta
dal punto di vista occupazionale, a vantaggio delle zone industriali,
già più ricche, le quali vedranno aumentare le proprie possibilità
sui mercati Marocchini ma lo perderanno sui mercati mediterranei, che
perderanno potere d'acquisto.
Cosa produce quindi la globalizzazione?
Semplicemente un acuirsi degli squilibri invece che un loro
superamento. Squilibri dal punto di vista geopolitico, con la
crescita delle ricchezza nei paesi già ricchi e della povertà in
quelli già poveri, e dal punto di vista sociale all'interno di
ciascun paese, con l'aumento del potere dei “grandi” e la perdita
di potere di “piccoli” - piccoli produttori, piccole aziende,
artigiani.
La globalizzazione è quindi un
fenomeno ben pianificato che mira ad una ineluttabile e progressiva
concentrazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi, come
è drammaticamente confermato da tutte le più recenti indagini
sociologiche.
Soluzione? Anche questa semplicissima:
- imporre dazi ai prodotti alimentari marocchini, almeno fino a quando non ci si assicuri della sussistenza dei diritti minimi dei lavoratori in quel paese e della certificazione della qualità dei processi produttivi e del prodotto finito. Ciò potrà essere da stimolo per un reale sviluppo economico-sociale di quella nazione.
- Evitare di invadere il mercato marocchino con prodotti industriali europei, consentendo così al settore artigianale-industriale locale, già molto precario, di sopravvivere e svilupparsi.
- Avvio di un piano di aiuti al Marocco finalizzato allo sviluppo delle infrastrutture interne, del settore educativo-scolastico, professionale e tecnologico ed alla piena autonomia e sovranità monetaria nazionale.
In questo modo si darebbe il via ad un
circuito virtuoso:
- mantenimento dell'occupazione nei paesi del Mediterraneo, con un razionale utilizzo delle risorse naturali e climatiche esistenti, e mantenimento e crescita in queste aree della domanda di beni industriali prodotti in altre zone d'Europa.
- Grosso input alla crescita sociale ed economica del Marocco, che vedrebbe incentivata la produzione alimentare secondo criteri sociali e qualitativi più avanzati, senza andare incontro ad collasso del proprio comparto artigianale-industriale. Un migliorato assetto economico-sociale del Marocco a medio e lungo termine ne farebbe un partner commerciale sicuro, affidabile e stabile.
Una tale politica-economica sarebbe
orientata a creare equilibri e equità, invece che, come succede con
la globalizzazione, a favorire gli squilibri e le asimmetrie. Sarebbe
una politica-economica in grado ottimizzare al massimo le risorse
esistenti e sviluppare le potenzialità produttive delle aree più
depresse, limitando gli ingenti costi economici ed ambientali del
trasporto e portando alla fine ad un incremento della prosperità
generale: questa è la vera ricchezza a cui bisogna puntare, non
quella che consegue alle speculazioni finanziarie delle grandi
multinazionali, che concepiscono il mondo come un grande scacchiere
in cui lucrare il più possibile secondo criteri miopi orientati al
guadagno immediato.
Non quindi globalizzazione, ma
politica-economica economica basata sul buon senso e sulla
ragionevolezza; non concentrazione del potere e della proprietà
nelle mani di pochi, ma distribuzione diffusa delle risorse secondo i
meriti e le capacità reali: in una parola: non liberal-capitalismo o
social-comunismo ma distributismo.
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