domenica 2 luglio 2017

IL DISTRIBUTISMO: CONTRO LE OLIGARCHIE FINANZIARIE E PARTITOCRATICHE, PER UNA VERA DEMOCRAZIA

Il Distributismo: contro le oligarchie finanziarie e partitocratiche, per una vera democrazia.

Nel 1911 i fondatori del distributismo, C.E.Chesterton e  H.Belloc pubblicarono un libro profetico intitolato “The Party System”, letteralmente il “Sistema dei Partiti”, recentemente (2014) riedito in lingua italiana dalla casa editrice Rubettino con il titolo “Partitocrazia”.
Non si tratta di un libello di qualche populista estremista ma della pacata e riflessiva analisi di uomini di cultura seri e rispettati che, ponendo il senso comune e la ragionevolezza al centro del loro modo di pensare ed agire, seppero dare una visione obiettiva e disincantata di quanto accadeva politicamente nell'Inghilterra dell'inizio del secolo scorso. In sintesi: si erano accorti che il sistema dei partiti, lungi dal rappresentare gli interessi del bene comune e della popolazione, in realtà tutelava primariamente solo due fasce molto ristrette della società: i politici stessi ed i detentori del potere economico-finanziario. Nel loro libro quindi non fecero altro che circostanziare, con dovizia di particolari ed esempi concreti, tratti dalla vita politico-parlamentare di allora, come il sistema dei partiti fosse in realtà un regime che tutelava gli interessi di pochi, in poche parole, una oligarchia mascherata da democrazia.
La tesi di Chesterton e Belloc rimane a mio parere altrettanto valida anche oggi: cambiano i contenuti ma il contenitore rimane sempre quello, cioè un sistema, il sistema dei partiti appunto, totalmente incapace di garantire una vera democrazia.
Non si tratta di un incidente di percorso, di una imperfezione emendabile con qualche lieve riforma: si tratta proprio di un deficit strutturale, connaturato all'essenza del sistema dei partiti stessi.
La logica sottostante tale sistema è infatti che la massima possibile libertà politica dei cittadini si esprima essenzialmente attraverso il voto e la possibilità di aggregarsi per dare vita ad una formazione politica che si possa presentare alle elezioni. Tutto il resto, cioè la possibilità di partecipare direttamente alla discussione e decisione delle questioni importanti che attengono alla vita sociale e lavorativa quotidiana, non trova alcuno spazio. I cittadini con il sistema dei partiti vengono di fatto espropriati di questo diritto fondamentale e tutte le associazioni professionali e lavorative intermedie, che non abbiano una specifica coloritura partitica, vengono di fatte progressivamente svuotate di ogni potere. Il sistema dei partiti anzi ha un obiettivo specifico, di fatto in fase di avanzata realizzazione nella storia recente: eliminarle.
Nel momento stesso in cui il cittadino si vede privato dei questi spazi di libertà reali e concreti e diventa depositario di una libertà astratta, quella di voto, e perde di fatto il potere reale di incidere sulla propria vita, affidando tale potere a qualcun altro: dalla democrazia si passa all'oligarchia.
Da chi è costituita nel dettaglio tale oligarchia?
Per scoprirlo basta osservare quanto accaduto dal 1945 ad oggi in Italia e nel mondo.
Nel 1913 negli Stati Uniti viene fondata la Federal Reserve, la banca centrale americana. La bozza del progetto venne formulata da un cartello delle principali famiglie bancarie internazionali – i Rothschild, i Morgan i Rockefeller, Kuhn&Lobb, solo per citarne qualcuna. Il loro obiettivo era semplice: ottenere il monopolio assoluto della sovranità monetaria in America, il diritto cioè di creare denaro dal nulla a costo zero e di imprestare poi questo denaro a Stati e cittadini, lucrando sui relativi interessi. Primo firmatario e dirigente della commissione governativa che si occupò della questione fu il senatore repubblicano Nelson W. Aldrich, guarda caso marito di un'esponente importante della famiglia Rockefeller (https://en.wikipedia.org/wiki/Nelson_W._Aldrich). Tale cartello bancario mise a disposizione somme enormi per “sensibilizzare” i parlamentari di entrambi gli schieramenti - democratici e repubblicani - ed i mass-media, la maggior parte dei quali erano comunque già di loro proprietà. Questo è stato il processo democratico attraverso cui i rappresentanti del popolo americano alla fine votarono in favore dell'istituzione della Federal Reserve.
Alla fine della II guerra mondiale tale cartello di famiglie bancarie si trovarono ad essere dalla parte dei vincitori, semplicemente per il fatto che avevano finanziato durante la guerra entrambi gli schieramenti, traendone immensi profitti. E' documentato inoltre che anche la rivoluzione bolscevica in Russia fu finanziata principalmente dalle banche di Wall Street, in funzione anti-zarista. Non dimentichiamoci infatti che lo Zar di Russia era l'unico “grande” d'Europa che ancora intendeva rimanere indipendente dall'indebitamento con la grande finanza internazionale.

Alla fine della II guerra mondiale l'Italia si trovò quindi stretta tra due colossi, entrambi vincitori, entrambi finanziati dalla stessa fonte: il modello liberal-capitalista americano e quello social-comunista sovietico.
Due modelli apparentemente in antitesi ma in realtà accomunati da almeno due importanti fattori in comune: l'essere finanziati dalla stesso fonte – la grande finanza internazionale con sede a Londra e Wall Street – ed un modello politico di tipo oligarchico.
Nel liberal-capitalismo infatti l'oligarchia si esprime attraverso il dominio sostanziale delle poche famiglie che detengono la maggioranza delle risorse economico-finanziarie della nazione ed utilizzano la partitocrazia quale loro strumento di controllo. Nel modello social-comunista l'oligarchia si esprime attraverso l'apparto dirigente del partito, una vera e propria casta che detiene il privilegio di decidere tutte le questioni importanti. In ambedue i modelli la popolazione viene esautorata di ogni potere reale, in ambedue i modelli si punta all'eliminazione delle aggregazioni professionali e sociali di cittadini che per secoli avevano garantito ai cittadini stessi la gestione di fette importanti del potere effettivo; in ambedue i modelli l'ideale di società è quello in cui l'individuo si trova solo ed impotente di fronte all'apparato statale, slegato da ogni vincolo solidale con i  propri vicini sul territorio. Ambedue i modelli, secondo quanto già lucidamente osservato dai distributisti inglesi nel corso del secolo scorso, puntano quindi inesorabilmente alla società servile, in cui il potere politico ed economico viene sempre più concentrato nelle mani di pochi e la maggioranza dei cittadini vengono progressivamente privati di tutti i poteri, a partire di quello che deriva dal possedere la proprietà privata ed i mezzi di produzione della propria attività lavorativa.

Gli ultimi 75 anni di vita politica italiana non sono quindi stati altro che il riflesso di quanto avveniva nel resto del mondo: una falsa e solo superficiale opposizione tra liberal-capitalismo e social-comunismo, nelle varie forme – piu o meno estreme od edulcorate -  in cui questi si sono presentati, esitata alla fine – e questa è storia recente – nella loro perversa alleanza: il grande Stato che si allea alla grande finanza. Mario Monti è forse l'incarnazione di questa fase esiziale del sistema politico italiano: presidente europeo della Commissione Trilaterale, associazione fondata nel 1973 dai Rockefeller, membro del Comitato Direttivo del Gruppo Bilderberg, “international advisor” per la banca internazionale Goldman Sachs e della Coca Cola Company, senza mai essere eletto, diventa improvvisamente presidente del Consiglio nel 2011 e vara un programma di lacrime e sangue,  che riesce a realizzare grazie all'utilizzo della macchina statale.
Ancora: se andiamo a vedere i programmi di tutti quei partiti e movimenti che riescono ad avere finanziamenti tali da poter arrivare all'attenzione dell'opinione pubblica, possiamo notare che nessuno di questi ha proposto o propone una reale alternativa al sistema dei partiti.
La I Republica ha infatti rappresentato il dominio pressochè assoluto dei partiti sulla società civile, il periodo berlusconiano l'irrompere sulla scena di un protagonista assoluto, un principe macchiavellico supportato prevalentemente dalle proprie possibilità economiche; Prodi ed il renzismo tentativi più o meno espliciti di alleanza tra la grande finanza e l'apparato statale; il grillismo una deriva demagogica che vorrebbe porre la rete – strumento facilmente controllabile dal guru di turno – quale totem dominante a cui sacrificare qualsiasi altro valore, in vista di una società nuova e millenarista, secondo i dettami delle centrali finanziarie internazionali (globalizzazione, multiculturalismo, relativismo), con il reddito di cittadinanza quale elemosina da consegnare ai cittadini-schiavi per la loro mera sopravvivenza.
Di fronte a questi tetri scenari, il Movimento Distributista Italiano fa una proposta molto semplice e lineare: il ritorno al senso comune ed alla ragionevolezza.
La concretizzazione politica del senso comune e della ragionevolezza oggi significa quattro cose principali:
1) Rimettere l’autosostentamento della famiglia al centro di ogni azione politico-economica
2) Ritornare all’unione di capitale e lavoro, nelle stesse persone, per operare la massima possibile diffusione della proprietà produttiva e quindi produrre la vera stabilità e prosperità economica
3) Ripudiare la partitocrazia, e ridare potere alle organizzazioni dei lavoratori-proprietari, divisi per comparto lavorativo
4) Ripudiare il denaro-debito bancario e creare una moneta che nasca di proprietà dei cittadini e dello Stato.

Sono queste le direttive da seguire, in ogni contesto politico-istituzionale – comune, regione, Stato – per incominciare a rimettere a posto le cose, lasciando da parte ogni cesarismo o personalismo.
Sono queste le direttive da seguire, contro ogni demagogia da “partito degli onesti”, che lascia poi inalterate o rafforzate le strutture di potere dell’usura bancaria (denaro-debito, burocrazia statale e partitocrazia), principali ostacoli alla realizzazione di quel minimo di equità e giustizia sociale che è indispensabile alla vita di ogni società che possa dirsi veramente civile.
Sono queste le direttive da seguire, per ovviare allo scoramento, alla disillusione ed alla rassegnazione che ormai ha pervaso il cuori di molti italiani veramente onesti.

Con queste direttive in mente, ci rivolgiamo quindi a tutte le persone di buona volontà, al di là ed oltre ogni schieramento ideologico o confessionale: che sia la forza dei nostri contenuti a sconfiggere l’arroganza delle oligarchie finanziarie e partitocratiche, per un sano ritorno al reale.

Per informazioni ed adesioni: distributismomovimento.blogspot.com

LA FRAMMENTAZIONE DEL FRONTE SOVRANISTA E LA PROPOSTA DISTRIBUTISTA



Di fronte alla crisi, strutturale e sistemica, del modello economico-sociale-politico e monetario in cui viviamo, modello che correttamente si può definire liberal-capitalista, è sorta una sana reazione dal basso, che, come tutti i fenomeni spontanei, ha la caratteristica di essere inizialmente confusa e poco organizzata. Si tratta di un numero elevatissimo di piccole associazioni di liberi cittadini, radicate sul territorio, che si occupano dei settori più vari e diversi del vivere civile: si va dalla moneta, all’agricoltura, al commercio, alla piccola produzione locale, alla salute, alla cultura, per finire con l’educazione dei figli, i problemi della terza  età e degli invalidi. Questa vasta galassia di piccole associazioni hanno tutte un carattere in comune: il tentativo di riappropriazione da parte della gente di spazi sovranità. Per questo il sistema li ha raggruppati con il termine di “sovranismo”.
Il sovranismo rappresenta quindi un a reazione tendenzialmente caotica e poco organizzata, al suo opposto, cioè  alla privazione di sovranità popolare operata dal modello imperante, appunto il liberal-capitalismo.
Il fronte sovranista appare quindi oggi come un fronte frammentato, ed effettivamente lo è.
Il sovranismo potrebbe essere infatti definito come il fascismo del XXI secolo. Il fascismo fu un fenomeno storico che, di fronte al precedente fallimento sistemico del liberal-capitalismo, quello avvenuto nei primi decenni del secolo scorso, mise insieme apporti culturali tra loro diversi ed eterogenei (socialismo e capitalismo, nazionalismo ed attenzione ai territori, cattolicesimo e naturalismo massonico), appunto in un “fascio” nuovo ed originale, creando un unicum storico ed una visione apparentemente forte e compatta in grado di opporsi al liberal-capitalismo. La sconfitta sui campi di battaglia e la sua intrinseca ambiguità e fragilità contenutista ne decretarono la scomparsa dalla storia.
Il sovranismo di oggi a mio parere non sta facendo altro che ripetere gli errori commessi dal fascismo nel XX sec.. Nel sovranismo infatti convergono le ideologie separatiste e federaliste leghiste, lo statalismo di ritorno del keynesismo, la dittatura del proletariato delle sinistre radicali, lo stato etico delle destre radicali, il naturalismo filosofico relativista della massoneria, il primato della società civile sull’apparato statale proposto dal mondo cattolico.

E’ chiaro che un fronte del genere non potrà mai trovare una sintesi coerente e coesa, in grado di proporsi come modello chiaro e compatto al prevalente liberal-capitalismo.

L’esempio più eclatante è quello della moneta: sono ormai numerosissimi i gruppi – piccoli, medi o grandi – che hanno acquisito la consapevolezza che il sistema monetario attuale, basato sulla frode del denaro-debito, è pernicioso e deleterio per il corpo sociale.
 Tutti questi gruppi però non riescono a ritrovarsi intorno ad una visione dell’economia, della socialità e della politica sufficientemente univoca da rendere poi le differenze tecniche sulla soluzione monetaria da attuare di secondaria importanza.

Che fare dunque?
Due sono le strade da seguire: una è quella di assumere un atteggiamento relativistico ed hegeliano – il famoso processo di tesi, sintesi, antitesi – e di lavorare per una sintesi di tipo “fascista” di tutte le componenti culturali che oggi si trovano nel sovranismo, con il rischio di costruire però un fronte intrinsecamente debole e fragile dal punto di vista dei contenuti ed incapace, come accadde al fascismo storico, di reggere l’urto del liberal-capitalismo. Non dimentichiamoci inoltre che socialismo, mondo cattolico e naturalismo massonico al momento opportuno si distanziarono dal fascismo, decretandone la fine e riconsegnandoci alla falsa bipolarità capitalismo-socialcomunismo.
L’altra soluzione è invece quella di proporre una visone sufficientemente ampia che accolga gli spunti positivi degli altri orientamenti, integrandoli e superandoli in una sintesi superiore.
Questa è la strada che intende percorrere il distributismo.
Il distributismo non nega la necessità di un decentramento del potere proposto dal leghismo ma lo porta a compimento proponendo la redistribuzione del potere reale tra la gente per comparto lavorativo (principio corporativo). Il distributismo non nega le esigenze di tutela dei più deboli e dei più poveri proposti dal social-comunismo ma porta a compimento questa posizione puntando alla redistribuzione di proprietà e poteri reali attraverso l’unione di capitale e lavoro e la costituzione di associazioni territoriali per comparto lavorativo (prinicipio corporativo). Il distributismo non nega le esigenze di dare alla libera iniziativa ed al mercato il massimo sviluppo possibile ma ritiene che tale sviluppo, per essere vero, debba basarsi su insieme di regole economiche e di comportamenti stabiliti dagli stessi attori della vita economica, riuniti in associazioni di categoria secondo un principio di partecipazione democratica e di rispetto delle competenze. Il distributismo non nega la necessità della presenza di uno Stato che debba fare rispettare il bene comune, ma ritiene che tale Stato non possa pretendere di plasmare a sua immagine e somiglianza la società bensì debba rispettarne le caratteristiche naturali e portarle al loro massimo compimento. Il distributismo infine, e qui si impone la presa di coscienza della sua totale incompatibilità con il naturalismo relativista massonico, non ritiene che la società possa conformarsi nel modo più vario e fantasioso,  inseguendo le ondivaghe fluttuazioni delle masse, facilmente condizionabili dai mass-media saldamente detenuti nella mani di pochi. Il distributismo ritiene invece che la politica debba essere guidata dalla retta ragione ed dal senso comune, che nel corso dei secoli ci hanno condotto alla scoperta di alcuni principi di giustizia, equità ed equilibrio che non possono essere più negoziabili, a patto di pervertire il naturale ordine sociale ed economico, producendo i tanti mali che oggi possiamo osservare.
Secondo il distributismo tali principi sono fondamentalmente quattro:
-       la centralità, anche e soprattutto economico-sociale, della famiglia basata sul matrimonio e sulla  procreazione responsabile.
-       la necessità di unire capitale e lavoro, mettendo chi lo voglia nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione e favorendo la massima possibile diffusione della proprietà produttiva
-       la necessità di dare alla gente il massimo potere possibile, attraverso la creazione di aggregazioni per comparto socio-lavorativo e funzione sociale svolta (principio corporativo)
-       la necessità di ridare alla moneta la sua funzione primigenia di strumento al servizio degli scambi  e dell’economia reale, ridando ai cittadini ed alle istituzioni pubbliche la proprietà del denaro al momento dell’emissione e sottraendolo al sistema bancario.


La visione distributista in questo senso sposa appieno quelli che sono i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, pur non proponendosi come una mera proposta confessionale ma rivolgendosi sempre e comunque a tutti gli uomini di buona volontà.

Historia magistra vitae: non è creando ibridi o temporanei compromessi tra correnti di pensiero eterogenee e contradditorie che si può sperare di uscire dalla terribile situazione in cui ci troviamo ma aprendoci con animo schietto e trasparente alle verità del senso comune e della ragionevolezza insite nel cuore di ogni uomo. Questa è in sintesi la proposta del distributismo per costruire un fronte forte, saldo e compatto che superi definitivamente il liberal-capitalismo ed il social-comunismo e ristabilisca quel minimo di ordine, prosperità e giustizia che rende la vita umana degna di essere vissuta.