domenica 2 luglio 2017

LA FRAMMENTAZIONE DEL FRONTE SOVRANISTA E LA PROPOSTA DISTRIBUTISTA



Di fronte alla crisi, strutturale e sistemica, del modello economico-sociale-politico e monetario in cui viviamo, modello che correttamente si può definire liberal-capitalista, è sorta una sana reazione dal basso, che, come tutti i fenomeni spontanei, ha la caratteristica di essere inizialmente confusa e poco organizzata. Si tratta di un numero elevatissimo di piccole associazioni di liberi cittadini, radicate sul territorio, che si occupano dei settori più vari e diversi del vivere civile: si va dalla moneta, all’agricoltura, al commercio, alla piccola produzione locale, alla salute, alla cultura, per finire con l’educazione dei figli, i problemi della terza  età e degli invalidi. Questa vasta galassia di piccole associazioni hanno tutte un carattere in comune: il tentativo di riappropriazione da parte della gente di spazi sovranità. Per questo il sistema li ha raggruppati con il termine di “sovranismo”.
Il sovranismo rappresenta quindi un a reazione tendenzialmente caotica e poco organizzata, al suo opposto, cioè  alla privazione di sovranità popolare operata dal modello imperante, appunto il liberal-capitalismo.
Il fronte sovranista appare quindi oggi come un fronte frammentato, ed effettivamente lo è.
Il sovranismo potrebbe essere infatti definito come il fascismo del XXI secolo. Il fascismo fu un fenomeno storico che, di fronte al precedente fallimento sistemico del liberal-capitalismo, quello avvenuto nei primi decenni del secolo scorso, mise insieme apporti culturali tra loro diversi ed eterogenei (socialismo e capitalismo, nazionalismo ed attenzione ai territori, cattolicesimo e naturalismo massonico), appunto in un “fascio” nuovo ed originale, creando un unicum storico ed una visione apparentemente forte e compatta in grado di opporsi al liberal-capitalismo. La sconfitta sui campi di battaglia e la sua intrinseca ambiguità e fragilità contenutista ne decretarono la scomparsa dalla storia.
Il sovranismo di oggi a mio parere non sta facendo altro che ripetere gli errori commessi dal fascismo nel XX sec.. Nel sovranismo infatti convergono le ideologie separatiste e federaliste leghiste, lo statalismo di ritorno del keynesismo, la dittatura del proletariato delle sinistre radicali, lo stato etico delle destre radicali, il naturalismo filosofico relativista della massoneria, il primato della società civile sull’apparato statale proposto dal mondo cattolico.

E’ chiaro che un fronte del genere non potrà mai trovare una sintesi coerente e coesa, in grado di proporsi come modello chiaro e compatto al prevalente liberal-capitalismo.

L’esempio più eclatante è quello della moneta: sono ormai numerosissimi i gruppi – piccoli, medi o grandi – che hanno acquisito la consapevolezza che il sistema monetario attuale, basato sulla frode del denaro-debito, è pernicioso e deleterio per il corpo sociale.
 Tutti questi gruppi però non riescono a ritrovarsi intorno ad una visione dell’economia, della socialità e della politica sufficientemente univoca da rendere poi le differenze tecniche sulla soluzione monetaria da attuare di secondaria importanza.

Che fare dunque?
Due sono le strade da seguire: una è quella di assumere un atteggiamento relativistico ed hegeliano – il famoso processo di tesi, sintesi, antitesi – e di lavorare per una sintesi di tipo “fascista” di tutte le componenti culturali che oggi si trovano nel sovranismo, con il rischio di costruire però un fronte intrinsecamente debole e fragile dal punto di vista dei contenuti ed incapace, come accadde al fascismo storico, di reggere l’urto del liberal-capitalismo. Non dimentichiamoci inoltre che socialismo, mondo cattolico e naturalismo massonico al momento opportuno si distanziarono dal fascismo, decretandone la fine e riconsegnandoci alla falsa bipolarità capitalismo-socialcomunismo.
L’altra soluzione è invece quella di proporre una visone sufficientemente ampia che accolga gli spunti positivi degli altri orientamenti, integrandoli e superandoli in una sintesi superiore.
Questa è la strada che intende percorrere il distributismo.
Il distributismo non nega la necessità di un decentramento del potere proposto dal leghismo ma lo porta a compimento proponendo la redistribuzione del potere reale tra la gente per comparto lavorativo (principio corporativo). Il distributismo non nega le esigenze di tutela dei più deboli e dei più poveri proposti dal social-comunismo ma porta a compimento questa posizione puntando alla redistribuzione di proprietà e poteri reali attraverso l’unione di capitale e lavoro e la costituzione di associazioni territoriali per comparto lavorativo (prinicipio corporativo). Il distributismo non nega le esigenze di dare alla libera iniziativa ed al mercato il massimo sviluppo possibile ma ritiene che tale sviluppo, per essere vero, debba basarsi su insieme di regole economiche e di comportamenti stabiliti dagli stessi attori della vita economica, riuniti in associazioni di categoria secondo un principio di partecipazione democratica e di rispetto delle competenze. Il distributismo non nega la necessità della presenza di uno Stato che debba fare rispettare il bene comune, ma ritiene che tale Stato non possa pretendere di plasmare a sua immagine e somiglianza la società bensì debba rispettarne le caratteristiche naturali e portarle al loro massimo compimento. Il distributismo infine, e qui si impone la presa di coscienza della sua totale incompatibilità con il naturalismo relativista massonico, non ritiene che la società possa conformarsi nel modo più vario e fantasioso,  inseguendo le ondivaghe fluttuazioni delle masse, facilmente condizionabili dai mass-media saldamente detenuti nella mani di pochi. Il distributismo ritiene invece che la politica debba essere guidata dalla retta ragione ed dal senso comune, che nel corso dei secoli ci hanno condotto alla scoperta di alcuni principi di giustizia, equità ed equilibrio che non possono essere più negoziabili, a patto di pervertire il naturale ordine sociale ed economico, producendo i tanti mali che oggi possiamo osservare.
Secondo il distributismo tali principi sono fondamentalmente quattro:
-       la centralità, anche e soprattutto economico-sociale, della famiglia basata sul matrimonio e sulla  procreazione responsabile.
-       la necessità di unire capitale e lavoro, mettendo chi lo voglia nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione e favorendo la massima possibile diffusione della proprietà produttiva
-       la necessità di dare alla gente il massimo potere possibile, attraverso la creazione di aggregazioni per comparto socio-lavorativo e funzione sociale svolta (principio corporativo)
-       la necessità di ridare alla moneta la sua funzione primigenia di strumento al servizio degli scambi  e dell’economia reale, ridando ai cittadini ed alle istituzioni pubbliche la proprietà del denaro al momento dell’emissione e sottraendolo al sistema bancario.


La visione distributista in questo senso sposa appieno quelli che sono i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, pur non proponendosi come una mera proposta confessionale ma rivolgendosi sempre e comunque a tutti gli uomini di buona volontà.

Historia magistra vitae: non è creando ibridi o temporanei compromessi tra correnti di pensiero eterogenee e contradditorie che si può sperare di uscire dalla terribile situazione in cui ci troviamo ma aprendoci con animo schietto e trasparente alle verità del senso comune e della ragionevolezza insite nel cuore di ogni uomo. Questa è in sintesi la proposta del distributismo per costruire un fronte forte, saldo e compatto che superi definitivamente il liberal-capitalismo ed il social-comunismo e ristabilisca quel minimo di ordine, prosperità e giustizia che rende la vita umana degna di essere vissuta.

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