venerdì 23 dicembre 2016

MULTINAZIONALI FARMACEUTICHE=CRIMINE ORGANIZZATO: LO DICONO GLI SCIENZIATI



"Medicine letali e crimine organizzato": è questo il titolo del libro del prof.Peter Gøtzsche, chimico e medico di fama internazionale, autore di libri scientifici e più di 70 articoli sulle principali riviste mediche, nonché co-fondatore della Cochrane Collaboration, la più importante associazione scientifica che si occupa della valutazione metodologica delle ricerche scientifiche.

Il frutto delle studi del prof.Gøtsche è inequivocabile: le grandi aziende multinazionali del farmaco (Johnson & J

ohnson, Novartis, Roche, Pfizer, Sanofi, Merck, GlaxoSmithKline, AstraZeneca, Bayer, Gilead Sciences, Teva, Amgen, AbbVie,  Eli Lilly, BristolMyers Squibb) sono di fatto equiparabili al crimine organizzato.

Il crimine organizzato, infatti, secondo la legislazione americana, è contraddistinto dalla reiterazione di alcuni reati specifici: estorsione, frode, reati contro le leggi federali, corruzione, appropriazione indebita, intralcio alle indagini, intralcio all'applicazione delle leggi, manomissione delle prove, corruzione dei politici.
Ebbene, Il prof.Gøtzsche nel suo libro fornisce prove dettagliate e cirocostanziate che le multinazionali continuano a macchiarsi di questi reati.
Ultima considerazione: se pensiamo che oggi il 98% delle ricerche e la stragrande maggioranza dei congressi e dei momenti formativi medici sono organizzati, o direttamente o indirettamente attraverso lauti finanziamenti, da queste grandi aziende multinazionali, c'è da chiedersi che spazio sia lasciato oggi ai clinici per una formazione ed una ricerca indipendente che metta al primo posto l'interesse dei pazienti.

Le evidenze sembrano quindi delineare uno scenario inquietante ma reale: la nostra salute in mano al crimine organizzato!

Dobbiamo meravigliarci di tutto ciò?
Assolutamente no!
Questo infatti è l'esito inevitabile di un modello economico-sociale in cui il capitale è sempre più concentrato nelle mani di pochi e chi lavora è completamente desautorato di ogni potere reale. Questo modello economico-sociale si chiama capitalismo e, attraverso l'usura o prestito ad interesse, controlla praticamente ogni settore dell'agire umano, a cominciare da quello delle regole economico-monetarie, senza escludere quello della sanità.
Che fare dunque?
Il distributismo, radicato sulla ragionevolezza ed il senso comune, ha la soluzione.

Il primo passo è quello di rigettate il liberal-capitalismo, basato sull'innaturale e perversa separazione tra capitale e lavoro, come pure il social-comunismo, um modello speculare che punta anch'esso alla concentrazione del potere nelle mani di pochi.
La direzione da seguire sarà quindi quella di ridare potere alla gente attraverso:
- l'indipendenza economica della famiglia
- l'unione tra capitale a lavoro e la conseguente massima possibile diffusione della proprietà produttiva
- la restituzione del potere a chi lavora, attraverso la costituzione di associazioni per comparto lavorativo e la fine della partiticrazia
- la restituzione della proprietà della moneta al momento dell'emissione ai cittadini e l'eliminazione dell'usura od interesse sui prestiti.

Sono queste le direttive principali del distributismo in grado di superare i cronici problemi economici-sociali che affliggono il nostro tempo.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

giovedì 22 dicembre 2016

L'idolatria del denaro, il terreno d'incontro di capitalismo e social-comunismo



"'L'universale rispetto del denaro è il solo fatto ottimista della nostra civiltà, è il solo punto sano della nostra coscienza sociale. Il denaro è la cosa più importante del mondo. Rappresenta salute, forza, onore, generosità e bellezza palesemente ed innegabilmente come la mancanza di denaro rappresenta malattia, debolezza, vergogna, viltà e brutezza".

Indovinate un pò chi ha scritto queste note?
David Rochefeller? Mayer Amschel Rothschild, il fondatore di una delle caste finanziarie più importanti al mondo? Gordon Gekko, il finanziere senza scrupoli del film "Wall Street"? No, nessuno di questi personaggi.
Si tratta di George Bernard Shaw, scrittore e drammaturgo inglese, premio nobel per la letteratura, vissuto dal 1856 al 1950, cofondatore nel 1895 della "London School of Economics and Political Science", fervente sostenitore della Russia stalinista ed uno dei primi membri della Fabian Society, famosa ed influente associazione socialista.

Rimane ancora qualche dubbio sull'innegabile convergenza tra liberalismo economico e social-comunismo, cioè tra due modelli che propugnano entrambi risolutamente la concentrazione della proprietà e del potere nelle mani di pochi?
Rimane ancora qualche dubbio sul fatto che tali modelli considerino il denaro come il principale strumento di assoggettazione dell'umanità intera ai propri disegni?

Deificare il denaro ed il prestito ad interesse, come fa George Bernard Shaw, vuol dire deificare i suoi sacerdoti, cioè i banchieri, che detengono ora e detenevano nel 1905, nell'anno in cui scrisse le note sopra riportate, il monopolio totale dell'emissione monetaria.

Deificare il denaro vuol dire mettere ai margini il lavoro, la produttività, la creatività umana e proporre l'avarizia ed il desiderio di lucro come massima virtù umana.
Deificare il denaro vuol dire quindi condannare l'uomo all'inferno, già su questa terra.

Le cose vanno dette chiare: porre il denaro in sè al centro del proprio orizzonte valoriale equivale mettere il nulla. Aristotele lo aveva già chiarito nel IV sec. a.C.: il denaro di per sè è sterile, non produce niente, la sua funzione essenziale è solo quella di essere un facilitatore degli scambi. La denarocrazia o plutocrazia, di fatto sostenuta dall'establishment mass-mediatico/culturale attuale, può produrre solo nichilismo e relativismo, il terreno ideale per far si che quegli stessi banchieri che reggevano le sorti delle nazioni e delle popolazioni ai tempi di George Bernard Shaw continuino a farlo oggi.

Su questo il distributismo non ha dubbi: la prima operazione culturale da compiere è quella di far capire all'opinione pubblica quale sia la funzione naturale del denaro, far capire quale tipo di denaro sia ossigeno per la società e quale invece veleno. Su questo siamo fiduciosi: basta infatti solo fare appello alla ragionevolezza ed al buon senso che albergano, purtroppo spesso inascoltati, dentro di noi.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

sabato 5 novembre 2016

RESTITUIRE IL POTERE ALLA GENTE, OVVERO DELLA NECESSITA' D UNA SVOLTA CORPORATIVA




Ormai è un dato che tutti considerano scontato: quella in cui viviamo non è una vera democrazia, ma una democrazia fasulla, in cui il potere reale è ben lungi dall'essere posseduto dal popolo ma si trova saldamente nelle mani di un ristretta oligarchia economico-finanziaria.
Questa oligarchia finanziaria non è una realtà fumosa e vaga ma ha un volto ben preciso: secondo la rivista Fortune la famiglia Rotschild, per esempio, possiede il patrimonio di maggioranza delle 500 multinazionali mondiali (https://www.google.it/search?q=forbese+500+famiglie+controllano&ie=utf-8&oe=utf-8&client=firefox-b&gfe_rd=cr&ei=6xQeWON8sKTzB775jKgM#q=le+famiglie+più+ricche+del+mondo).

Il cittadino medio quindi assiste impotente ad un processo di cui è vittima sacrificale designata: la costante perdita di potere sia in termini economici sia in termini politici.

Impotente, perchè ciò che gli viene ripetuto come un mantra è che il sistema partitico è il migliore sistema possibile di rappresentanza, l'unico che possa realizzare una vera democrazia: altri non ce ne sono.
La realtà è ben diversa. Come avevano brillantemente fatto notare nel 1913 i distributisti inglesi Hilaire Belloc e Cecil Chesterton nel libro “Partitocrazia” (“Partitocrazia”, ed Rubbettino, 2014), il sistema partitico costituisce invece lo strumento ideale di controllo pressochè totale della politica da parte della grande finanza.
Il rapporto tra il singolo cittadino ed il parlamentare eletto è infatti quanto di più elusivo possa esistere, mentre le illimitate somme di denaro possedute dall'oligarchia finanziaria si rivelano immancabilmente una forza corruttiva ed cogente in grado di aprire praticamente ogni porta e di vincere ogni resistenza.

Basti fare un semplice ragionamento: ogni campagna elettorale ha un costo. Negli Stati Uniti le grandi banche internazionali rappresentano il principale donatore di fondi ai candidati di entrambi i partiti – repubblicani e democratici (http://www.libreidee.org/2016/01/usa-elezioni-e-soldi-chi-si-compra-il-futuro-presidente/). Saranno in grado pertanto i candidati, una volta eletti, di tutelare gli interessi dei cittadini rispetto a quelli delle banche? Ognuno tragga le debite conclusioni.

Questo spiega perché le legittime attese di un cambiamento reale negli ultimi 70 anni siano andate regolarmente deluse.
Che fare dunque?
Un'analisi della situazione basata sul buon senso e sulla ragionevolezza, al di là di ogni sterile divisione ideologica, impone la presa di coscienza che quello che non funziona non è questo o quel partito, questo o quel presidente del consiglio, questo o quel sistema elettorale ma il sistema partitico stesso.
Il distributismo (distributismomovimento.blogspot.com) afferma in maniera molto netta che è ora di invertire marcia e dar vita ad un sistema in cui i cittadini, le famiglie ridiventino i principali depositari del potere reale. Per far questo c'è un unico modo: seguire appunto il senso comune e la ragionevolezza e mettere da parte le inutili ideologie. Il senso comune ci dice che ha potere non chi, una volta ogni 5 anni, infila in un'urna un foglietto bianco con una crocetta, ma chi può partecipare alle decisioni di tutte le concrete questioni importanti che riguardano la propria sfera socio-lavorativa; ha potere non chi dipende per il proprio sostentamento economico da scelte prese da oscuri burocrati ma chi è in grado di mantenersi da solo, grazie alla propria capacità lavorativa e d'iniziativa. Questo sistema, che tutte le persone di buona volontà riconoscono come il più naturale ed il più confacente al desiderio di libertà della natura umana, si chiama in un solo nome: sistema corporativo. Il sistema corporativo si basa su un assunto molto semplice: aggregare le persone per comparto lavorativo e dare ad esse la massima autonomia e libertà di gestire nei vari territori la propria vita economico-sociale, stabilendo regole condivise finalizzate alla stabilità e prosperità generale. La visione corporativa proposta dal distributismo ha alla sua radice una visione dell'uomo che non è l“homo hominis lupus” di hobbesiana memoria. Per il distributismo l'uomo è un essere per natura sociale e gli scambi e le relazioni virtuose che ha con il prossimo rappresentano un importantissimo, se non il principale strumento della sua realizzazione.

Ciò di cui quindi abbiamo disperatamente bisogno oggi è una decisa e risoluta svolta corporativa, che incominci a stabilire forti legami solidari nei vari territori tra persone che condividono gli stessi ambiti lavorativi. Non importa quale sia il nome di tali aggregazioni: possiamo chiamarle corporazioni o gilde o sodalizi occupazionali. L'importante è che esse si costituiscano ed incomincino a ridare al lavoro ed alla capacità dei singoli quella forza rappresentativa che è andata persa nei secoli.
Le corporazioni si distinguono dai sindacati perchè il loro scopo non è la mera rivendicazione di diritti nei confronti del “padrone” di turno ma l'incontro di tanti piccoli “padroni” che intendono tenacemente mantenere la proprietà dei mezzi di produzione e discutere insieme tutti gli aspetti della loro attività socio-lavorativa: la qualità dei prodotti o servizi forniti, le questioni deontologiche, previdenziali, assistenziali, fiscali, formative e quant'altro. La corporazione non è il luogo di riunione di una classe sociale ma l'incontro di diverse classi sociali che condividono tra di loro la stessa funzione lavorativa, se pur con ruoli e responsabilità diversi. Il legame tra i membri della corporazione non è la mera rivendicazione settoriale ma la comune partecipazione ad un'opera, ad un lavoro, ad una funzione sociale. In sintesi: la corporazione è la strada obbligata da seguire per pervenire insieme ad una piena umanizzazione dell'attività lavorativa ed al ristabilirsi di un livello adeguato di giustizia sociale.

Purtroppo oggi nell'immaginario collettivo il termine “corporazione” viene associato ad una serie di fenomeni sociali negativi, a circoli chiusi avidamente votati al perseguimento dell'interesse di casta, siano essi dei corpi professionali o delle associazioni di multinazionali. La “corporazione” dal sistema capitalista viene così intesa come il nemico giurato della libertà economica e d'iniziativa, un residuo di medioevo da abbattere e sulle cui ceneri costruire le “magnifiche sorti e progressive dell'umanità”.
Anche qui, niente di più falso. In realtà il sistema corporativo costituisce la più granitica garanzia della libertà economica e d'iniziativa, perchè per definizione previene e combatte la tendenza monopolistica della grande finanza e del grande business, stabilendo regole e codici comportamentali che consentano la massima possibile diffusione della proprietà produttiva e quindi del benessere economico. All'opposto, è proprio invece il capitalismo, dove per capitalismo si intende quel sistema che favorisce la separazione tra capitale e lavoro, a sfociare, come possiamo osservare con i nostri occhi, in un sistema fortemente monopolistico e squilibrato, in cui la libertà dei singoli non trova più via di espressione. La mancanza di regole del liberal-capitalismo non rappresenta altro che l'affermazione della legge del più forte e la perdita della libertà dei più.
Non a caso i due sistemi che hanno dominato gli ultimi 70 anni - capitalismo e social-comunismo, lungi dal contrapporsi, hanno entrambi favorito un modello di società in cui il potere reale confluisce nelle mani di pochi: l'elite economico-finaziaria nel caso del capitalismo, l'apparato burocratico di partito nel caso del social-comunismo. Ultimamente stiamo assistendo alla perversa alleanza di questi due sistemi: il capitalismo, attraverso il monopolio assoluto della produzione di denaro-debito, utilizza lo Stato come braccio armato per la riscossione dei propri crediti ed in cambio fornisce una lauta ricompensa alla casta dei burocrati statali.
Belloc e Chesterton, circa un secolo fa, già profeticamente indicavano nello Stato Servile l'esito ultimo di capitalismo e social-comunismo.

Per non ripetere gli errori del passato, si impone quindi, oggi più che mai, una svolta corporativa, una svolta che consenta di restituire alla gente il potere che gli spetta.

Tale svolta è assolutamente necessaria e si integra perfettamente con gli altri tre fondamentali punti della proposta distributista:
  • il ritorno ad una reale indipendenza economica dell'istituzione familiare
  • la riunione tra capitale e lavoro
  • il ritorno della proprietà del denaro al momento dell'emissione direttamente ai cittadini.

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venerdì 21 ottobre 2016

IL DENARO, STERCO DEL DEMONIO


Il denaro, sterco del demonio. Quest'espressione vetusta, che emerge dal passato della tradizione culturale europea, viene percepita dai più in maniera ambigua e confusa. Si, forse il denaro è sterco del demonio, ma non sempre, forse solo quando non lo si ha o li deve come debito a qualcun altro.
La questione è di centrale importanza e merita alcune sintetiche ed essenziali considerazioni.
Il primo passo è chiedersi: che cosa è il denaro ed a cosa serve.
La risposta è semplice ed incontestabile: il denaro è una convenzione umana, uno strumento creato dall'uomo e dipendente in tutto dall'uomo: il denaro senza società, in natura, non esiste.
Secondo passo: qualè il fine del denaro? Il denaro serve a facilitare lo scambio di beni e servizi tra la popolazione, creando una unità di misura condivisa del valore delle cose e degli strumenti per far avvenire gli scambi e quindi facilitare la produzione, evitando il baratto. Il denaro serve alla prosperità economica della comunità civile.
Ne consegue logicamente che se il denaro, invece che venire scambiato, viene accumulato, esso viene meno alla sua funzione principale e naturale, quindi diventa qualcosa di incongruo ed anomalo che produce una grave distorsione economico-sociale.
Ne consegue anche che per definizione il denaro è sterile, non è in grado di produrre di per sé alcun bene, essendo una mera convenzione: trasformarlo in un bene, con un suo prezzo – l'interesse - che si compra e si vende come ogni altro merce, lede e contraddice quindi gravemente la sua natura, rendendolo non più in grado di assolvere la sua funzione.
La tendenza ad accaparrare denaro, l'interesse sul denaro stesso e la sua mercificazione – che oggi vengono accettati come un dogma indiscutibile imposto dai sacerdoti della finanza – trasformano la moneta da strumento al servizio del bene comune in mezzo di dominio di pochi – quelli che lo producono e la emettono gratis come debito verso altri – sulla maggioranza della popolazione.
Questa è la situazione in cui viviamo, queste sono le radici profonde della crisi economico-sociale attuale, irrisolvibile finchè non verrà restituita al denaro la sua funzione autentica.
Queste sono le ragioni per cui i nostri antichi, essendo lucidamente consapevoli di tutto ciò, chiamavano il denaro “sterco del demonio” ed avevano giustamente chiamato “usura” anche il più minimo interesse sul prestito. Il denaro attira l'uomo con le sue lusinghe di potere e felicità e nel momento in cui l'uomo cede lo condanna all'inferno, quello quotidiano che viviamo tutti i giorni, con la disoccupazione, il debito senza fine, l'ingiustizia e la sperequazione sociale, lo svilimento del lavoro e della dignità umana stessa.
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mercoledì 12 ottobre 2016

USURA È PRESTARE DENARO AD INTERESSE, QUALSIASI ESSO SIA


C'è una guerra in corso, da cui dipende il destino nostro e dei nostri figli: quella delle parole.
La parola "usura", da che uomo è uomo, evoca una reazione di ferma e decisa condanna morale. L'usura è ingiusta e riprovevole e va condannata senza se e senza ma.
Si, certo, ma cosa si intende con "usura"?
Dall'alba dei tempi fino all'inizio del XVI sec. non vi è mai stato alcun dubbio:  "usura" era il prestito di denaro con un interesse, qualunque esso fosse. Il pensiero classico, esposto con chiarezza da Aristotele, motiva questa posizione sulla base della ragionevolezza e del senso comune: il denaro di per se è sterile, non puó produrre nulla, serve solo come mezzo di scambio. Farlo diventare arbitrariamente produttivo, con l'usura, è pertanto contro natura e profondamente ingiusto: l'interesse sul denaro viene pertanto considerato come un furto ed una gravissima minaccia alla prosperità ed all'equilibrio economico-sociale. Cicerone qualche secolo dopo ribadisce gli stessi concetti. Il cattolicesimo accoglie in pieno questo pensiero, fatto proprio in maniera esplicita anche dall'antico testamento, e per 1500 anni gli insegnamenti degli apostoli, dei padri della Chiesa, dei teologi, dei concilii, dei papi e le autorità civili di Stati e nazioni reiterano in varie forme questa posizione, fortemente sentita e supportata anche dalla popolazione più semplice. Dobbiamo aspettare il 1515, con il papa "mediceo" Leone X, per assistere alle prime deroghe, da parte della Chiesa Cattolica, a quella che precedentemente era stata una linea fermissima. Da li in poi, attraverso un processo graduale, si è arrivati fino alla definizione attuale di "usura", edulcorata e svuotata di ogni reale incidenza economico-sociale: la richiesta di un interesse sul prestito superiore ai termini fissati per legge. Così quella che San Gregorio di Nissa, nel trattato "Contro gli usurai" del 379 d.C. definiva "un altro tipo di furto e spargimento di sangue", "un serpente velenoso" ed "un profitto disonesto", diventa per l'uomo del XXI secolo un'attività legittima. Quella che papa Innocenzo IV (1200-1254) definí "causa di tutti i mali", viene accettata dai cattolici di oggi come un attività normale. Tutto ciò mentre gli studiosi seri della moneta (Fantacci, "La moneta. Storia di un'istituzione mancata", ed Marsilio, 2005), al di là di ogni scelta confessionale, giungono alla conclusione che effettivamente la mercificazione della moneta, cioè l'interesse sul prestito, mina alla radice l'efficienza della moneta stessa.
Che fare dunque?
Come minimo sarebbe opportuno riaprire la discussione sul significato più appropriato della parola "usura", rimettendo in discussione la moralità dell'atto di prestare denaro ad interesse, in un sforzo multidisciplinare che metta insieme i contributi dei moralisti, dei teologi, degli economisti e degli storici.
La questione non è da poco e riguarda il presente ed il futuro di tutti noi.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

mercoledì 5 ottobre 2016

LA VERA DEMOCRAZIA E LA SUA PARODIA


Gli italiani non hanno più alcun potere: il singolo cittadino non può decidere nulla sul proprio lavoro, nulla sul modo in cui viene creato il denaro, nulla sulla sua previdenza sociale e sulla sua pensione, nulla sul prezzo di beni e servizi, nulla su chi entra e chi esce dalle proprie frontiere. Può solo decidere, una volta ogni 5 anni, che segno mettere su una scheda bianca: tutto questo qualcuno insiste a chiamarlo democrazia, senza accorgersi che ne è invece soltanto una grottesca parodia.
La vera democrazia consiste infatti nell'esercitare direttamente tutti quei poteri reali che il sistema partitocratico impedisce di principio. Il sistema dei partiti non è altro che "l'instrumentum regni" dell'oligarchia economico-finanziaria che oggi detiene il potere reale.
Non vi è infatti autentica democrazia senza una corrispondente equa distribuzione della proprietà produttiva e del potere decisionale tra i vari comparti lavorativi, non vi è vera autentica democrazia senza distributismo.

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venerdì 9 settembre 2016

LA QUESTIONE MORALE, ROUSSEAU E I 5 STELLE


Se osserviamo la storia d'Italia, possiamo notare, a partire dal 1861, una sfilza continua di scandali e scandaletti. Ecco un piccolo stralcio da wikipedia relativo allo scandalo della Banca di Roma del 1888: "Lo scandalo della Banca Romana è stato un caso politico-finanziario che ha coinvolto alcuni settori della Sinistra storica, accusati di collusione negli affari illeciti della Banca Romana, uno dei sei istituti che all'epoca erano abilitati ad emettere moneta circolante in Italia, e del suo presidente Bernardo Tanlongo.

Nel 1888, a fronte di 60 milioni di lire autorizzati, la Banca aveva emesso per 113 milioni, fra cui banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia; in seguito alla scoperta, nacque la Banca d'Italia e gli istituti di emissione passarono da 6 a 3 con la legge del 1893. Gli altri due istituti che poterono emettere moneta furono il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. La Banca d'Italia nacque dalla fusione della banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito. La banca Romana venne messa in liquidazione".

La tendenza al comportamento illecito di persone che ricoprono cariche pubbliche è quindi un problema atavico, che non fa distinzione tra destra e sinistra. È una possibilità che interroga ed interrogherà sempre la libertà umana, l'uomo in quanto uomo, al di là delle sue ideologie o convinzioni, delle sue appartenenze partitiche.
Ciò che può variare, nei vari periodi storici, non è quindi la sua presenza ma la percentuale  della sua diffusione. Più in una società i sani valori morali sono pervasivi, tanti meno casi di reati avremo. Si tratta quindi fondamentalmente di un problema di morale individuale che ha enormi riflessi sulla morale pubblica.
Da questo punto di vista oggi non siamo messi molto bene. I giornalisti hanno coniato il termine "questione morale" certamente non per caso. Il dilagare della corruzione e della concussione è un segno evidente che la morale pubblica oggi è in profonda crisi.
Quali sono le cause di questa crisi?
Le cause più profonde sono legate ad un malinteso collettivo di fondo. Si pensa che il bene del singolo non abbia più nessun rapporto con il bene comune, che il bene dell'individuo possa essere svincolato dal bene della comunità. L'imperativo è che sia ricco io, come e perché non ha più alcuna importanza, e tutto può essere condizionato a questo fine ultimo, in cui consiste la vera felicità.
Questo modo di pensare è la conseguenza logica di una mentalità che nasce con Rousseau, il pensatore ginevrino che nel XVIII sec. fu il primo a teorizzare che l'uomo non è sociale per natura e che la società anzi rappresenterebbe un ostacolo alle potenzialità umane invece che un mezzo per la loro realizzazione. Da cui la necessità di un mero "contratto sociale", frutto di compromessi e di rapporti di forza, che dovrebbe limitare l'effetto nefasto che il vivere in comune di per sè comporta. Il bene comune come tale peró sparisce dall'orizzonte, rimane solo la composizione di tante piccole monadi atomistiche, l'una schierata contro l'altra, forzate a trovare un compromesso dallo stato di necessità, con il risultato che il singolo stesso sarà portato ad approfittare di ogni maglia che si apre nella rete di questo apparato di controllo formale per ottenere propri vantaggi.

È un paradosso quindi che il Movimento 5 Stelle, che oggi si fa paladino dei valori di moralità pubblica, faccia riferimento a Rousseau, per imposizione del suo vertice, quale principale pensatore di riferimento. Non a caso i Casaleggio hanno voluto dare il nome del filosofo ginevrino alla nuova piattaforma del movimento.
Non dimentichiamoci inoltre che la principale deriva a cui porta il pensiero di Rousseau è quella totalitaria: poiché non esiste alcun bene comune oggettivo, che emerge dalle naturali relazioni che si stabiliscono dal basso nel corpo sociale tra i suoi componenti vivi (l'individuo, la famiglia, i corpi sociali intermedi), il contratto sociale, realizzato attraverso varie forme di comunicazione, tra cui si può includere anche la rete, frutto dei rapporti di forza che di volta in volta emergono, sarà l'unico parametro da seguire e quindi da imporre risolutamente come regola generale a tutta la società: è questo tratto totalitario, che si esprime attraverso un forte Stato centrale, che caratterizza sia lo società social-comunista sia quella capitalista, un totalitarismo che non lascia più spazio alle diversità ed alla originalità delle singole realtà socio-economiche e culturali.
Se si vuole davvero risolvere il problema della disonestà civile, dobbiamo quindi mettere da parte i proclami demagogici che identificano i puri nei membri di un partito e mettere da parte anche Rousseau, che di questo pensiero è il principale ispiratore, e riscoprire invece il vero significato del bene comune.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

domenica 21 agosto 2016

CAMPAGNA DI AUTOFINANZIAMENTO DEL MOVIMENTO DISTRIBUTISTA ITALIANO



Sfiducia, disillusione, rassegnazione, rabbia: sono questi gli stati d'animo, comprensibili e giustificati, della maggior parte del popolo italiano.
Sfiducia verso la classe politica che da 70 anni è stata protagonista di un'alternarsi ininterrotto di scandali e ruberie e soprattutto di incapacità di risolvere i problemi reali della gente; disillusione rispetto alla sana aspirazione di condurre una vita normale, con un lavoro appagante in grado di sostenere dignitosamente se e la propria famiglia; rassegnazione di fronte alla constatazione della propria impotenza di fronte ai poteri dei burocrati di Stato e dei grandi capitalisti; rabbia di fronte al fallimento di ogni onesto tentativo di cambiare davvero le cose ed al progressivo incrementarsi del divario sociale tra ricchi e poveri, con una sempre maggiore concentrazione della proprietà e del potere nelle mani di pochi.
Questi stati d'animo negativi hanno però anche un loro aspetto positivo: sono il segno che l'essere umano è fatto per qualcosa d'altro, per qualcosa di meglio, e che la sua natura istintivamente si ribella di fronte a condizioni di vita che non ne garantiscono la piena dignità e libertà.
La questione centrale infatti è propria questa, la libertà. Ci stiamo avvicinando a grandi passi, e senza neanche esserne pienamente consapevoli, a quello che Hilaire Belloc, uno dei fondatori del Distributismo, definì nel 1913 lo Stato Servile, uno Stato cioè in cui la maggior parte dei cittadini si trova ad essere privata del possesso dei mezzi di produzione e della possibilità di decidere le questioni concrete della propria vita socio-economica- lavorativa, essendo costretta a lavorare in una condizione di “dipendente” ed a mercanteggiare la propria libertà ed indipendenza in cambio di un tozzo di pane per sopravvivere, come i servi. Lo Stato Servile è il risultato dell'alleanza perversa tra due forze apparentemente avverse ma in realtà strettamente complementari: il capitalismo economico-finanziario e lo statalismo di impronta social-comunista. Lo Stato Servile è la risultante del continuo e progressivo spossessamento di potere e di proprietà a cui le persone, le famiglie ed i corpi sociali lavorativi sono stati soggetti.
Per fermare questa consolidata tendenza non sono sufficienti piccole cambiamenti, né ci si può basare sull'improvvisazione spontaneistica.
E' necessario un radicale e lucido ripensamento del paradigma di fondo su cui si basa la nostra società, è necessaria una chiarezza di visione in grado di invertire marcia in ognuno dei variegati aspetti che costituiscono la nostra vita. E' necessario quindi rigettare gli assunti di fondo sia del liberal-capitalismo sia del social-comunismo, con tutti i loro vari derivati - liberismo e keynesismo in primis, perchè questi assunti hanno dimostrato di aver fallito oltre che in teoria anche nei fatti.
Il liberal-capitalismo capitalismo infatti ha fallito nella sua pretesa di portare prosperità generale, il social-comunsmo ha fallito nella sua pretesa di risolvere il problema della povertà. La loro perversa alleanza ci ha portato in una delle più gravi crisi sistemiche che l'umanità abbia conosciuto.
Di fronte a tutto ciò ed al fatto che nessuna delle formazioni attualmente presenti sullo scenario politico ha idee sufficientemente chiare per apportare un reale cambiamento, il distributismo propone un'alternativa, valida, ragionevole e facilmente percorribile: invertire rotta e puntare ad una società in cui poteri e proprietà siano equamente distribuiti dal basso secondo i meriti e le capacità di ciascuno. Si tratta in estrema sintesi di:
  • modificare radicalmente il sistema di rappresentanza democratica, dando più poteri ai singoli lavoratori organizzati per comparti lavorativi sui territori (principio corporativo) e togliendolo ai partiti
  • modificare il sistema economico-sociale in senso più equo e prospero, facendo confluire capitale e lavoro nelle stesse persone e dando l'opportunità a chi lavora di diventare proprietario dei mezzi di produzione
  • modificare radicalmente il sistema finanziario, dando la proprietà della moneta all'atto dell'emissione allo Stato ed ai cittadini
  • rafforzare il tessuto sociale, dando più potere ed autonomia economica alle famiglie.
Sono questi i quattro fondamentali punti su sui si basa il progetto del Movimento Distributista Italiano e di tutte le associazioni ed organizzazioni distributiste esistenti oggi nel mondo: stop al potere dei partiti e potere invece ai cittadini organizzati sul territorio per comparto lavorativo; stop all'accumulo del capitale in poche mani e diffusione della proprietà produttiva; stop al dominio della finanza sulla politica e sull'economia e creazione di una moneta di proprietà dei cittadini; stop alla dissoluzione della famiglia e maggiore indipendenza economica a questa istituzione.
Un progetto ad ampio raggio, in grado di orientare ed indirizzare le piccole e grandi scelte amministrative, politiche, fiscali, economiche che possono avvenire a vari livelli ed in vari contesti nella società.
Un progetto a lungo termine che può e deve iniziare ad essere attuato a livello capillare, a partire dalle minuscole scelte che tutti noi facciamo quasi inconsapevolmente nella nostra vita di ogni giorno, per esempio quando facciamo la spesa o compriamo beni: dovremmo evitare di comprare i prodotti delle multinazionali e scegliere la produzione locale a parità di qualità per arricchire la nostra comunità.

Il Movimento Distributista Italiano intende continuare ad impegnarsi, come già sta facendo dal 2012, perchè questi contenuti entrino nel dibattito politico attuale, giungano all'attenzione dell'opinione pubblica e soprattutto si trasformino in leggi, norme, dispositivi legislativi e fiscali concreti in grado di operare un miglioramento reale e duraturo delle nostre condizioni di vita.
Il successo della nostra azione dipende in grande misura dal vostro appoggio, dall'appoggio di ogni cittadino ancora animato da buona volontà, al di là di ogni ideologia o confessione.
Per preservare interamente la nostra autonomia e non dover scendere a compromessi con i diktat dei”poteri forti” intendiamo mantenere una sostanziale indipendenza economica, puntando solo sull'autofinanziamento e sul mantenimento di un'organizzazione interna basata su una rigorosa partecipazione democratica.
Vogliamo cioè fondare la nostra forza sulla validità dei nostri contenuti e sull'apertura ad un dialogo incentrato sul senso comune e la ragionevolezza. Crediamo fortemente nell'importanza di tenere dritta la barra del nostro timone sul bene comune, perchè il bene comune è ciò che meglio tutela l'interessa dei singoli.
Per questo abbiamo lanciato una campagna nazionale di finanziamento e sostegno, che durerà tre mesi, dal 20 agosto al 20 ottobre 2016, chiedendo ad ogni persona che ha cuore il benessere proprio e della propria famiglia di appoggiare e sostenere la nostra azione.
Sappiano che i tempi sono magri e che le possibilità economiche e la disponibilità di tempo di ognuno sono ridotte al lumicino. Per questo non chiediamo l'impossibile ma solo che ognuno ci aiuti nei modi e nelle forme che ritiene più opportune. Voi siete la famosa goccia che, unita alle altre, è in grado di formare un oceano capace di vincere ogni resistenza. Il simbolo del distributismo è l'arco di volta, costituito da tante piccole pietre che, prese una ad una sono insignificanti ed inutili, ma messe insieme riescono a reggere interi edifici. Quelle singole pietre siamo ciascuno di noi, dobbiamo solo passare dal disfattismo alla fiducia, dall'inerzia all'operosità, con un piccolo gesto concreto.
Tale piccolo gesto concreto può essere rappresentato da tante cose: approfondire la conoscenza del distributismo, leggendo libri ed articoli (vedi post e bibliografia sul nostro sito distributismomovimento.blogspot.com ); iscriversi al Movimento Distributista Italiano (vedi istruzioni su nostro sito), partecipando alle attività dei gruppi locali e nazionali o semplicemente venendo informati delle varie iniziative; fare una donazione sul nostro sito con PayPal. Anche un minimo versamento, a partire da 1 euro, può essere un segno importante. Tutte le donazioni verranno contabilizzate ed esposte poi, in forma anonima, sul nostro sito.

Non esitate pertanto a fare la vostra parte, a trasformare la vostra sfiducia, disillusione, rassegnazione e rabbia in speranza costruttiva basata su una sana adesione al reale.
Sostenete il Movimento Distritbutista Italiano, sostenete la libertà vera, vostra e dei vostri figli.

Sul sito distributismomovimento.blogspot.com basterà un click per dare il vostro contributo e fare una donazione dell'importo che riterrete più opportuno.

Il Comitato Direttivo MODIT

domenica 7 agosto 2016

DISTRIBUTISMO: LA STRADA DA SEGUIRE PER CONCRETIZZARE LE NOSTRE SPERANZE




Se facessimo un sondaggio ai 60 milioni di italiani che popolano la nostra penisola circa il loro livello di gradimento dell'attuale politica, la risposta sarebbe probabilmente una pressochè assoluta bocciatura. “Le cose” non vanno bene, solo un cieco potrebbe sostenere il contrario.
Tuttavia questo stato di malessere non riesce a sfociare in niente di costruttivo: quale strada intraprendere nessuno lo sa.
Possiamo dividere molto sinteticamente la popolazione in due categorie: il 98% dei cittadini, occupato nelle faccende normali della vita (lavoro o ricerca di un lavoro, famiglia, tempo libero) ed il rimanente 2%, che, per passione ed interesse, oltre che occuparsi del proprio sacrosanto “orticello”, dedica una parte delle energie residue al bene comune. Tra questi ovviamente vi dovrebbero essere i politici, eletti dalla gente. Peccato però che questi “politici” costituiscono proprio quella classe di persone verso cui i cittadini, come dicevamo all'inizio, non hanno più alcuna fiducia.
Bisogna quindi prendere atto che tutti noi stiamo vivendo una di quelle situazioni impossibili e paradossali che la psichiatria riconosce come uno dei principali fattori causali di disagio mentale: da una parte di rendiamo conto che la politica non funziona, dall'altra ci viene detto che viviamo nel migliore sistema politico possibile. Questo condizione schizofrenogenica produce poi il malessere e la depressione sociale che abbiamo di fronte agli occhi.

Alcuni però cercano di sfuggire a questa condizione perversa, facendo appello al proprio bagaglio culturale, informandosi su internet, e dandosi da fare, nel loro piccolo, sul territorio, ad aggregare persone come loro critiche dell'attuale “sistema”. Sono così nate negli ultimi 10 anni una miriade di micro-associazioni, praticamente in ogni area del territorio nazionale, che si occupano in maniera selettiva di temi percepiti come importanti: la moneta e la finanza, l'agricoltura e l'alimentazione, la salute ed il benessere, la costituzione ed i referendum, l'immigrazione e gli squilibri geopolitici mondiali. Un enorme fermento di idee e proposte, tutte accumunate dall'essere “contro” il sistema attuale, dall'essere “piccoli” e locali tentativi di soluzione e dall'essere portate avanti da persone volonterose e disinteressate, animate da un sincero interesse per il bene comune.
Possiamo quindi affermare senza tema di smentita che la maggioranza assoluta della popolazione, sia di cittadini “normali” sia di cittadini attivamente impegnati per la cosa pubblica, desiderano fermamente un cambiamento radicale e sarebbero pronti ad appoggiarlo. Il loro malessere è sacrosanto e nasce dal mancato soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali: il bisogno di vivere in una famiglia che sia in grado di auto-sostentarsi, il bisogno di poter esercitare un lavoro sicuro che dia delle soddisfazioni personali e che sia in grado di mantenere dignitosamente se stesso ed i propri familiari, il bisogno di essere supportato in caso di malattie od infortuni, il bisogno di partecipare alle decisioni importanti che riguardano la realtà concreta del proprio ambito socio-lavorativo, il bisogno di vivere in un contesto in cui le regole condivise siano rispettate da tutti.
Perchè allora tale cambiamento non avviene?
Perchè manca ancora un'idea trainante, sufficientemente chiara e convincente, in grado di guidare la maggioranza silenziosa, di far superare lo sterile individualismo, di far convergere gli sforzi originali ed autentici dei tanti verso un obiettivo comune.
Eppure questa idea esiste, è profondamente radicata nel cuore degli uomini di buona volontà e pertanto non ha un copyright, è di tutti e non è proprietà esclusiva di nessuno. Questa idea esiste ed ha un nome: si chiama distributismo.
Il distributismo in sintesi rappresenta l'applicazione pura e semplice della ragionevolezza e del senso comune all'ambito socio-economico-politico. In base ai principi di equità e giustizia sociale, sostiene che sia buono e giusto che la proprietà privata ed il potere in generale vadano il più possibile diffusi all'interno del corpo sociale, invece che concentratati nelle mani di pochi, siano questi pochi l'elite economica del sistema capitalista od i buorocrati di partito del sistema social-comunista. Il distributismo è una visione quindi nettamente e risolutamente alternativa al social-comunismo ed al liberal-capitalismo, una visione in grado di orientare le scelte e le decisioni in ogni settore della vita pubblica. Nello specifico sostiene che, per realizzare concretamente un'equa distribuzione dal basso di proprietà e potere, è necessario agire secondo quattro direttive principali:
  • orientare l'economia e la politica al benessere ed all'auto-sostentamento reale della famiglia.
  • lavoro e capitale devono essere, là dove possibile, uniti: chi lavora deve essere messo nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione
  • i lavoratori devono riappropriarsi del potere di partecipare alla decisione di tutte le questioni importanti della propria sfera socio-lavorativa (qualità dei prodotti/servizi forniti, remunerazioni minime e massime, codici di comportamento, assistenza pensionistica e previdenziale e quant'altro). I cittadini vanno quindi aggregati sul territorio secondo i vari comparti lavorativi, in associazioni di rappresentanza caratterizzate da meccanismi di partecipazione basati sulle competenze e la democrazia.
  • Il denaro deve tornare ad essere uno strumento al servizio del bene comune. La proprietà della moneta al momento dell'emissione non potrà pertanto più appartenere al sistema bancario privato, come succede oggi, ma dovrà essere conferita ai cittadini od allo Stato.
Quindi: centralità della famiglia, superamento della divisione tra capitale e lavoro, superamento del sistema partitocratico con redistribuzione dei poteri ai comparti lavorativi, democratizzazione della finanza e della moneta.

Se questi punti fossero posti come l'orizzonte di riferimento di ogni riforma, di ogni cambiamento legislativo, a livello locale o nazionale, le cose potrebbero cambiare davvero e, lungi dal realizzare il paradiso in terra, i sani e naturali desideri di fondo del popolo italiano potrebbero comunque incominciare ad essere soddisfatti.

Purtroppo tutti i vari movimenti e partiti che in questa fase si pongono come “alternativi” mancano della sufficienza chiarezza progettuale e di proposta. Il distributismo è sotteso in qualche modo a molti aspetti delle loro iniziative ma mai compiutamente definito della sua interezza: è inutile continuare a ripetere di voler favorire le piccole e medie aziende contro le multinazionali se non si fanno leggi che in qualche modo penalizzino il grande capitale rispetto alla piccola iniziativa famigliare; è inutile fare queste leggi, se poi non si favorisce l'autonomia economica delle famiglie; è inutile dare il reddito di cittadinanza, se la moneta continua ad essere, nel momento dell'emissione, di proprietà del sistema bancario privato; è inutile ed ipocrita schierarsi contro gli abusi dei partiti, se poi si ignora che il sistema partitico rappresenta lo strumento privilegiato attraverso cui la plutocrazia (cioè il potere dei ricchi) controlla e manovra a piacimento l'attività legislativa, lasciando le famiglie e le persone prive di ogni potere reale; è' inutile ed ipocrita parlare di democrazia, se poi non si propone un sistema realistico e concreto in grado di attuarla. Movimento 5 Stelle, la Lega, Fratelli d'Italia, Sel ed altre formazioni di sinistra stanno cercando di intercettare il malcontento della gente ma in realtà navigano a vista, incapaci di proporre una visione organica e percorribile davvero alternativa.
Non c'è altra via per uscire dalla palude paralizzante in cui l'abbandono del senso comune e della ragionevolezza ci ha condotto: mettere da parte definitivamente social-comunismo e liberal-capitalismo ed aggregare le masse intorno ad un idea in contatto con il reale: il distributismo, che ha un orizzonte universale e non certo nazionalista, è l'unica strada per dare concretezza alle nostre speranze.

Per informazioni distributismomovimento.blogspot.com o movimentodistributista@gmail.com

mercoledì 20 luglio 2016

LA VERA BATTAGLIA, QUELLA TRA OLIGARCHIA E DEMOCRAZIA


Lo scenario economico-politico e sociale attuale è caratterizzato da un’apparente confusione. Venuto meno lo scontro tra i due grandi paradigmi, capitalismo e social-comunismo, con la netta vittoria del primo sul secondo, la conflittualità si è spostata su altri livelli.
A livello mass-mediatico il terrorismo è diventato il nemico comune da perseguire, mentre a livello economico-sociale si stanno creando una serie di conflittualità interne al modello capitalista: quella tra lavoratori autonomi e dipendenti, tra chi ha un lavoro e chi non ce l’ha, tra giovani e pensionati, tra appartenenti alla macchina burocratica statale e liberi cittadini.
Se si va però un po’ più in profondità è possibile cogliere quella che è la vera battaglia in corso nel nostro periodo storico, e cioè la lotta tra oligarchia e democrazia.
E’ ormai un fatto incontestato che il capitalismo, là dove si afferma, quindi sia nei paesi sviluppati sia nelle nazioni del terzo mondo, produce una società in cui il potere reale e la proprietà sono concentrati nelle mani di pochi, tanto più pochi quanto più il capitalismo stesso ha modo di realizzare compiutamente se stesso.
E’ altrettanto incontestabile che il cittadino medio, invece, in queste stesse società capitalistiche, viene sempre più privato della possibilità d partecipare attivamente alle decisioni che riguardano il proprio ambito socio-lavorativo e riesce sempre meno ad essere possessore di una proprietà produttiva. Il raggio delle sue libertà decisionali viene progressivamente sempre più ridotto: gli rimane solo l’opportunità di inserire una scheda in un’urna ogni 5 anni, eleggendo dei cosiddetti suoi rappresentanti - i parlamentari - che in realtà non conosce neanche e che rappresentano tutto meno che la sua volontà.
I parlamentari sono infatti persone che dipendono strettamente da un partito, il quale partito per svolgere le sue attività ha bisogno di finanze e risorse, le quali finanze e risorse sono, come abbiamo detto, per la maggior parte nelle mani di un numero ristretto di persone. E così il cerchio si chiude.
E’ possibile quindi affermare, senza tema di smentita, che il sistema in cui viviamo non è un sistema democratico ma un sistema oligarchico, basato cioè sul potere di “pochi”. Questi pochi sono i detentori del potere reale (potere economico e finanziario, grandi banche e multinazionali), i quali si servono per l’esercizio del potere dei politici, facilmente comprabili, o direttamente di loro emissari – vedi governi “tecnici” tipo Monti in Italia o Papadimos in Grecia. Il primo era membro del gruppo Bilderberg, della Commissione Trilaterale, dell’Aspen Institute e consulente internazionale di Goldman Sachs e della Coca Cola, il secondo governatore della banca centrale ellenica con esperienza lavorativa alla Federal Reserve di Boston.
La situazione quindi è molto grave, molto grave soprattutto perché il popolo italiano è vittima principalmente di una grande menzogna e di un grande inganno. Ogni male può essere infatti combattuto ed eventualmente superato, ma non quando esso è coperto da una spessa coltre di bugie e di finzioni, non quando è ipocriticamente celato da un vasto apparato di propaganda.
Noi abbiamo già oggi tutte le risorse umane e materiali per far fronte alla grave crisi economico-sociale in cui ci troviamo ma il fatto che il potere reale sia ancora saldamente nella mani di quell’oligarchia di banchieri e capitalisti che hanno creato questa crisi ci impedisce di risolverne le cause alla radice e di uscirne speditamente. Chiusi nella gabbia partitocratica, che ci vogliono par passare dogmaticamente come l’unica forma di governo accettabile, siamo impossibilitati ad usare liberamente le nostre risorse e le nostre capacità, che pur ci sono. Siamo schiavi del sistema bancario-finanziario e ci vogliono far credere di aver raggiunto il massimo della libertà possibile. Siamo sottoposti al rigido potere di una minoranza, e ci vogliono far credere di avere raggiunto il massimo della democrazia.
Di fronte a tutto ciò il distributismo non ha dubbi.
Bisogna radicalmente cambiare marcia e puntare diritti ad una vera democrazia ed ad una vera libertà, basate sul senso comune e sulla ragionevolezza e non sulle sterile e vuota propaganda dei mass-media.
Sono quattro i punti che il distributismo pone come pilastri fondamentali di una civiltà equa, giusta, prospera e solidale:
- l’indipendenza economica della famiglia
- l’unione tra capitale e lavoro, puntando alla massima possibile diffusione della proprietà produttiva
- la partecipazione di chi lavora alle decisioni circa gli aspetti concreti del proprio ambito socio-lavorativo (principio corporativo) ed il conseguente superamento del sistema partitocratico.
- la fine dell’usura da parte del sistema bancario e cioè la restituzione della proprietà della moneta al momento dell’emissione ai cittadini ed agli Stati.
Intorno a questi quattro punti - da cui discendono molti altri quali il superamento della povertà nel mondo, un ordine internazionale rispettoso della libertà dei popoli, il rispetto dell’ambiente – il Movimento Distributista Italiano intende aggregare fin da ora tutte le persone animate da buona volontà, al di là di ogni sterile e nociva divisione ideologica o confessionale.
La vera battaglia è dunque quella tra democrazia ed oligarchia e tutti noi siamo chiamati a prendere posizione, per preservare la nostra libertà e quella dei nostri figli.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com o movimentodistributista@gmail.com

sabato 16 luglio 2016

IL GIOCO DI CHI È AL POTERE: IMPEDIRE LA DIFFUSIONE DI IDEE FORTI




La crisi della politica è fondamentalmente una crisi di idee. Caduto il social-comunismo - che ha lasciato orfani milioni di persone - il suo apparente eterno rivale - il capitalismo - si è affermato come modello di riferimento dominante, dogmaticamente imposto come l'unico possibile e percorribile. Di fronte alla crisi attuale l'opinione pubblica è fatta permanere quindi in una condizione impossibile, tipica della persona schizofrenica: dover accettare il capitalismo come il miglior sistema attuabile nel momento stesso in cui se ne constata il fallimento totale.
L'accanimento prevalente di chi oggi detiene il potere reale è proprio quello di continuare a mantenere la gente dentro questa sorta di gabbia mentale: ai servi viene dato tutto - televisione 3d, telefonini di ultima generazione, automobili a prezzi scontati, il voto una volta ogni 5 anni - ma non la chiave per uscire dalla propria gabbia. Il capitalismo può essere modificato, aggiustato, edulcorato ma non va sostituito nella sua struttura di fondo: questo è il dogma che deve regnare incontrastato. Tutte le proposte di cambiamento e rinnovamento possono essere accettate - la gente ha bisogno del "nuovo" -fino a che non minino i presupposti di fondo del sistema capitalista. Le proposte devono essere preferibilmente parziali, frammentarie, isolate, spontaneistiche, tipo 5 Stelle. In questo modo possono poi sempre essere "corrette" o "bilanciate" in modo da non toccare i consolidati equilibri di potere vigenti.
Di che cosa ha paura quindi oggi il capitalismo che domina il mondo? Di un'idea forte che spazzi via il mare di incongruenze, ingiustizie, squilibri, sperequazioni e malessere che il capitalismo stesso  oggi rappresenta.
Una di queste idee forti è il distributismo (distributismomovimento.blogspot.com), che non ha paura di accettare su tutti i fronti il confronto in campo aperto con il capitalismo, nella convinzione che la partita si giochi a questo livello e che tutto il resto rischia di essere un vano e sterile dibattersi dentro le porte chiuse di una prigione.

giovedì 7 luglio 2016

PSICOPATOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA COLLETTIVA


Parafrasando una celebre opera che Freud scrisse nel 1901 a proposito del carattere nevrotico della psiche individuale, si può oggi affermare senza tema di smentita che la maggior parte di noi è soggetto ad importanti e pervasivi fenomeni di psicopatologia, che non riguardano però la dimensione individuale quanto quella collettiva e comunitaria.
Senza accorgersene, abbiamo fatto propri una serie di credenze del tutto patologiche, se per patologico intendiamo un'idea od un pensiero che ha perso il contatto con la realtà. Il fatto che tale forma di patologia sia condivisa e quindi inavvertita non la rende meno grave e preoccupante, anzi.
Vediamo in specifico di quali forme di psicopatologia si tratti ed in quali idee si manifestino:
1) Il diniego: il diniego è in un meccanismo psicopatologico che consiste nel negare, nelle forme più svariate ed ipocrite, l'esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce (http://www.treccani.it/vocabolario/diniego/).
2) la dissociazione: é un meccanismo di difesa per cui alcuni elementi dei processi psichici rimangono "disconnessi" o separati dal restante sistema psicologico dell'individuo [https://it.wikipedia.org/wiki/Dissociazione_(psicologia)].
Entrambe sono considerate espressione di forme di psicopatologia grave o psicotica.

Un'idea in cui questi due disturbi sono conpresenti è quella di denaro: la gente dedica la maggior parte della propria vita a reperire denaro per la sopravvivenze di sè e della propria famiglia ma realizza un totale diniego ed una totale dissociazione rispetto a che cosa sia il denaro stesso e chi sia il suo proprietario all'atto dell'emissione. Diniego perchè questa realtà è davanti agli occhi di tutti ed eppure viene ignorata. Basta infatti prendere una banconota da 10 euro e leggere di chi è la firma e l'intestazione: Mario Draghi, Banca Centrale Europea. Dissociazione perchè questo dato di fatto viene dissociato da tutto il resto che caratterizza l'esperienza dell'individuo (tasse esose, debito pubblico e privato endemico inarrestabile) e tenuto separato dalle considerazioni con cui si tenta di trovare una soluzione ai nostri problemi.
Un'altra idea implicata in processi psicopatologici è quella di democrazia. Il diniego è evidente quando si sperimenta un mondo in cui il singolo e la famiglia sono stati praticamente desautorati di ogni potere effettivo riguardo alle decisioni concrete della propria vita socio-lavorativa e si persevera a chiamare tale sistema democratico (cioè "potere del popolo"). La dissociazione è ancora più evidente quando nel tentativo di porre rimedio ai gravi e perduranti problemi della politica attuale non si mette in dubbio il sistema partitico che ne costituisce le fondamenta ma si persevera sterilmente ad invocate il nuovo partito od il nuovo esponente di partito in grado di risolvere le cose.
Queste sono solo due delle immumerevoli forme di psicopatologia collettiva in cui tutti noi siamo caduti. A ciò si aggiungono inganni veri e propri operati dal sistema economico, per esempio il fatto che, utlizzando un linguaggio criptico e mistificatorio, le banche commerciali hanno indotto il pubblico a pensare che siano loro a prestare denaro ai clienti mentre in realtà avviene il contrario.
Che fare dunque? Come ovviare a questa psicopatologia collettiva che produce e mantiene malessere sociale ed economico? Tutte le forme di terapia partono da un presupposto iniziale fondamentale: la presa di coscienza. Diniego e dissociazione possono essere superate attraverso un lento e progressivo processo di acquisizione di consapevolezza, che non sia troppo traumatico e rispetti la capacità di metabilizzazione mentale ed affettiva delle persone. A ciò può seguire l'esperienza tonificante di sentirsi meglio, più vitali, più in forma: una volta che la società si sia liberata dal peso opprimente del denaro-debito bancario e dalla falsa democrazia partitocratica si potranno infatti finalmente liberare tutte le energie sane e costruttive della popolazione, che al momento si trovano artificiosamente bloccate ed immiserite da una delle più gravi psicopatologie sociali che l'umanità abbia conosciuto.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

martedì 28 giugno 2016

IL LIBERALISMO: L'ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA CAPITALISMO, STATALISMO E PERMISSIVISMO MORALE


La nostra Emma Bonino, non dissimile in questo per certi versi dal libertino Silvio Berlusconi, con il quale non ha disdegnato di allearsi, può essere considerata il simbolo umano e vivente di un processo in corso da decenni ed in stadio di già avanzata attuazione nei paesi anglosassoni: la logica e cogente convergenza tra capitalismo, statalismo e permessivismo morale.  La Bonino, campione delle battaglie pro-aborto, è sempre stata forte propugnatrice del liberismo più estremo, trovandosi in perfetta sintonia con le oligarchie economiche che reggino il mondo. In Inghilterra fu Tony Blair il primo ad incarnare questo modello, portando avanti una politica insieme liberista - massima libertà di iniziativa per il grande capitale - e statalista - massima centralizzazione burocratica nei settori della salute pubblica, dell'educazione, del controllo sociale - insieme ad una sempre più intensa opera di appoggio al liberalismo morale - marginalizzazione della famiglia tradizionale. La brutta copia di Blair in Italia può a tutti gli effetti considerarsi Renzi: un mix anche lui di liberismo economico  -abolizione dell'articolo 18, job act, alleanza con la grande finanza -, statalismo - rafforzamento del centralismo dell'amministrazione pubblica - e liberalismo morale (legge Cirinnà sulle unioni civili ed appoggio ai matrimoni omosessuali). Purtroppo anche i 5 Stelle sembrano non gravitare lontano da queste latitudini, essendo incapaci di proporre dei contenuti organici e coerenti in grado di costituire una reale alternativa al sistema attuale ma limitandosi ad invocare demagogiche ed insignificanti iniziative moraleggianti quali la restituzione degli stipendi da parlamentari. Tra parentesi: è evidente a tutti che senza stipendi ai parlamentari la politica diventerebbe ancora di più quello che già è: il regno incontrastato della plutocrazia.
In altri termini: dobbiamo prendere atto che si è creata un'alleanza perversa tra capitalismo e statalismo centralista, dal punto di vista sociale - e permissivismo morale - dal punto di vista delle scelte personali. Liberalizziamo tutto - il sesso, le relazioni e l'economia -, imponiamo questa liberalizzazione dall'alto attraverso uno Stato centralista e staremo tutti meglio. Peccato che non si siano fatti i conti con la realtà.
L'alleanza tra capitalismo, statalismo e permissivismo morale è destinata infatti inesorabilmente al fallimento per varie ragioni: perchè il capitalismo, separando capitale e lavoro, ha dimostrato di non saper mantenere le sue promesse di prosperità globale; perchè lo statalismo, di marcata impronta social-comunista, imponendo uno Stato burocratico e centralista, ha dimostrato di non sapere mantenere le sue promesse di eliminazione del problema della povertà e dell'emarginazione; perchè il permissivismo morale ha dimostrato di non sapere mantenere le sue promesse di felicità universale, rendendo fragili e vulnerabili i legami tra l'uomo e la donna e tra la donna e la sua creatura ed incrementando notevolmente il tasso di malessere individuale e la disgregazione sociale.

Qual'è quindi il risultato di tutto ciò? Paradossalmente la perdita delle libertà umane, quelle vere, concrete, tangibili: la libertà di vivere in una famiglia solida e stabile, di poter discutere e decidere le questioni pratiche della propria vita socio-lavorativa, di essere detentori di una sostenibile e sostentante proprietà produttiva . In una parola la perdita della società civile, della rete di vincoli e rapporti umani partecipativi e solidali, legati ad un territorio ed ad un contesto specifico. La singola persona si trova infatti ad essere sempre più sola ed isolata, schiacciata tra uno Stato invadente  ed inefficiente perché rigidamente centralizzato, ed un capitalismo arrogante ed monopolizzante che non ha più freni; la singola persona non può più contare sul supporto della famiglia ed è stata spossessata di ogni potere e proprietà significative. Gli è rimasto solo quel simulacro di democrazia che si chiama voto e l'incessante compulsione a consumare, a costo di indebitare se e tutti i famigliari: sta ricadendo inesorabilmente in una condizione servile.

Contro tutto questo -contro l'insana alleanza tra capitalismo, statalismo e permissivismo morale - si erge la ragionevolezza ed il senso comune del distributismo, che, ripartendo dai fondamenti, propone semplicemente una società in cui la famiglia economicamente indipendente ed autonoma ed un'equa diffusione della proprietà produttiva e dei vari poteri siano fattori prevalenti e costitutivi delle varie comunità, che solo allora potranno dirsi veramente civili.
Famiglia, massima distribuzione della proprietà produttiva, massima distribuzione dei poteri decisionali per comparto lavorativo con relativo superamento della partitocrazia, denaro emesso di proprietà dei cittadini e non delle banche: sono queste le quattro proposte "forti" del distributismo. Quattro proposte sostenibili, concrete e praticabili che aspettano solo di essere attuate per ottenere finalmente una società in cui l'equità e la giustizia non siano più un'utopia ma le forme caratterizzanti del vivere in comune, mettendo ai margini definitivamente il liberalismo e tutte le sue nefaste appendici.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

domenica 26 giugno 2016

BREXIT: UNA SANA REAZIONE CONTRO LO STATO SERVILE



Tutta la questione riguardo la Brexit ha al centro una fondamentale domanda, che riguarda la democrazia e la sovranità: è cosa buona e giusta che una popolazione rinunci al diritto di decidere tutte le questioni che riguardano le proprie questioni economiche e sociali, delegandole ad un potere remoto e lontano fatto di burocrati non eletti?
C'è un solo modo di definire coloro che hanno perso il potere di autodeterminarsi: schiavi.
Il popolo inglese, dimostrando notevole coraggio e forza morale, ha rigettato lo Stato servile che l'elite economico-finanziaria, di marcato stampo mondialista, voleva imporgli. Dovremmo quindi essere grati a questa popolazione, perchè ci ha indicato la strada da seguire, la strada della civiltà, della libertà vera, della partecipazione contro i disegni totalitari di chi detiene oggi il potere reale. . Questa è la vera guerra che stiamo combattendo, al di là delle apparenze, quella che vede schierati da una parte chi sostiene che  il potere e la proprietà debbano essere concentrati nelle mani di pochi (capitalisti e statalisti), dall'altra chi invece ritiene  che debbano essere equamente distribuiti, dal basso, all'interno delle varie comunità (distributisti, più o meno consapevoli). In questo senso gli inglesi sono riusciti a mettere a segno un'importante vittoria per il fronte delle libertà e contro lo Stato servile. Tutto il resto è solo sterile retorica.

Per informazioni

venerdì 24 giugno 2016

BREXIT: LA VITTORIA DEL SENSO COMUNE



Ascoltando la BBC ed i commenti dei giornalisti e politici inglesi ieri sera, emergeva che il voto è stato la rivincita dell'uomo comune, trasversalmente ad ogni ideologia, contro l'establishment politico e finanziario. Il "leave" inaspettatamente ha vinto in molti distretti "rossi" tradizionalmente di sinistra e malgrado i leader dei partiti maggiori (di sinistra e di centro-destra) avessero indicato il contrario.
Per questo il voto di ieri può essere l'inizio di in risveglio civile, della ripresa di una volontà popolare che non intende più delegare il potere ma controllarlo e gestirlo direttamente, il ritorno del senso comune e della ragionevolezza contro le follie dei partiti, un segnale importantissimo che la gente è matura per una svolta distributista.

Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

giovedì 23 giugno 2016

I 5 STELLE ALLA PROVA DEL 9



Sull'onda del sacrosanto voto di protesta i 5 Stelle hanno conquistato il sindaco della capitale e quello di Torino e puntano adesso al governo del Paese.
Su che basi? Sulla base di un contenitore senza contenuti. Sul sito del Movimento è infatti consultabile il programma dei pentastellati. Alla voce "economia" appaiono ben 20 provvedimenti, molti dei quali generici ("favorire la produzione locale", "sostenere le società no profit"), altri molto specifici e settoriali ("abolire la legge Biagi", "impedire l'acquisto a debito di una società", "abolizione delle stock option", "introdurre la class action"). Sul debito pubblico il riferimento più significativo è quello di perseguire la strada del risparmio, dei tagli e della spending review. Nulla, assolutamente nulla, sul problema del denaro-debito, sul fatto cioè che il sistema bancario ha il monopolio assoluto della creazione monetaria. Nulla sul recupero della sovranità della politica economica nazionale. Nulla sulla necessità di supportare la diffusione della proprietà produttiva, mettendo chi lavora nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione. Nulla sull'opportunità di rilanciare l'autonomia economica della famiglia. Nulla sulla necessità di superare davvero il sistema partitocratico e di distribuire più equamente il potere tra la popolazione secondo i vari comparti lavorativi. Il programma dei 5 Stelle non costituisce quindi in alcun modo un'alternativa valida, coerente e sostenibile al capitalismo - ed al sistema partitocratico ad esso correlato - ma ne propone una versione "soft", edulcorata, ripulita di alcuni suoi eccessi ma sostanzialmente inalterata nella sua struttura di fondo: capitale e lavoro continueranno ad essere separati; i partiti continueranno ad essere le uniche forme di rappresentanza, lasciando i cittadini spossessati di ogni potere reale; la produzione di denaro continuerà ad essere monopolio assoluto nelle mani del sistema bancario; la famiglia continuerà  nella sua parabola discendente ed i legami sociali saranno sempre più fragili e disgregati.
Quando ci accorgeremo di tutto ciò? Quando, come è successo ai nostri governi negli ultimi 70 anni, falliranno alla prova dei fatti. È sempre possibile infatti abbindolare l'opinione pubblica con gli strumenti della retorica e dello spettacolo - i 5 Stelle hanno infatti avuto nella capacità comunicativa di Grillo la loro forza principale. Un pò più difficile invece è abbindolare la realtà: la realtà non si lascia impressionare dalle frasi ad effetto, non risente degli umori della rete, rimane indifferente di fronte ai proclami moralistici ma esige una costruttiva e coerente pars costruens. Questa sarà la prova del 9 dei 5 Stelle: riuscire ad incidere positivamente sulla realtà.
Buona fortuna, soprattutto all'Italia!

Nel frattempo il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) continuerà la sua battaglia per una società veramente più equa ed equilibrata, all'insegna del senso comune e della ragionevolezza.

mercoledì 8 giugno 2016

CAPITALISMO E SOCIAL-COMUNISMO O DELLA DISSOLUZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE




Chiunque abbia occhi per vedere non può non constatare quanto sta avvenendo:
progressiva dissoluzione della famiglia con crescita esponenziale della conflittualità e dell'isolamento sociale, progressiva perdita di potere dell'individuo rispetto alla sua vita economico-sociale, progressiva perdita della sovranità nazionale a favore di poteri sovranazionali di prevalente natura economico-finanziaria. Una tendenza inesorabile, continua, costante nei confronti della quale l'uomo comune non può provare che una cosa sola: un'istintiva ripugnanza ed un senso vago ed indefinito di nausea e malessere, che trovano espressione nella crescita inarrestabile dell'astensione elettorale.
Il paradosso è che una tale condizione si verifichi in concomitanza con quello che viene universalmente definito dai mass-media come il miglior sistema politico esistente, quello della democrazia rappresentativa parlamentare basata sul sistema dei partiti.
Il risultato è la diffusione di un vissuto generalizzato di paralisi e di impotenza che congela ed imbriglia tutte le energie sane della nazione, un meccanismo psicotico collettivo con cui si vorrebbe fare convivere la peggiore delle situazioni possibili con la migliore, in un tipico doppio messaggio insostenibile caratteristico del funzionamento mentale schizofrenico.

Come si può superare questa impasse? In un solo modo: facendo chiarezza, ricontattando il reale e liberandoci dai lacci e dai fumi dell'ideologia.
Alcuni semplici punti dovrebbero risultare evidenti per tutti:

  1. questa situazione non è frutto del caso ma logica conseguenza dell'alleanza di due modelli che, lungi dall'essere opposti, sono due facce della stessa medaglia, il capitalismo ed il social-comunismo. Ciò che accumuna questi due sistemi è infatti considerare che sia buono e giusto che il potere e la proprietà siano concentrati in poche mani, l'oligarchia finanziario-economica nel caso del capitalismo, l'apparato burocratico statale nel caso del social-comunismo.
  2. il sistema partitico non è una vera democrazia ma lo strumento privilegiato usato dal sistema capitalista per controllare l'attività legislativa. L'esempio più eclatante è costituito dagli Stati Uniti, in cui viene dato per scontato, come se fosse una cosa normale, che le grandi banche mondiali, finanziando sistematicamente la campagna elettorale di entrambi i candidati presidenti, si assicurino l'appoggio incondizionato di entrambi.
  3. la politica oggi non conta nulla ed è stata ridotta al ruolo di cameriere dell'oligarchia economico-finanziaria imperante.

Che fare dunque? Semplicissimo: marciare con determinazione in direzione opposta, supportati dalle armi del senso comune e della ragionevolezza e puntare a:

  1. il rifiuto netto e deciso del capitalismo e del social-comunismo per aprirsi ad un modello che contempli l'equa distribuzione del potere e della proprietà produttiva secondo un principio di equità (distributismo)
  2. il rifiuto netto e deciso del sistema partitico, per aprirsi ad un modello basato sul ritorno dei poteri reali ai vari comparti lavorativi, aggregati liberamente sul territorio secondo criteri partecipativi basati sulle competenze (principio corporativo).
  3. Il rifiuto netto e deciso del dominio della finanza sulla politica, abolendo il sistema del denaro-debito bancario e sostituendolo con una moneta che nasca di proprietà dei cittadini o dello Stato.

Utopistico? Irrealistico? Impossibile? Assolutamente no! Si può e di deve fare, considerando che la forza per dare attuazione a tale programma sta nella singola presa di coscienza da parte di tutti noi. Si tratterebbe solamente di una sano ritorno al reale, di un'uscita dalla follia collettiva chiamata capitalismo e social-comunismo, non certo per costruire un paradiso in terra ma per dare vita ad una società in cui l'uomo possa essere messo nelle condizioni di sviluppare al massimo le sue pur limitate capacità, una società che si possa definire veramente civile.

Il Movimento Distibutista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) si è incamminato su questa strada, che è la strada di tutti gli uomini di buona volontà.

venerdì 3 giugno 2016

IL CAPITALE: BENE O MALE SOCIALE?



Il capitale: una fonte di gravi malesseri sociali ed economici se separato dal lavoro e posseduto prevalentemente da pochi privati (capitalismo); una fonte di gravi malesseri sociali ed economici se separato dal lavoro e posseduto prevalentemente dallo Stato (socialismo); uno strumento al servizio dell'economia e della prosperità se unito al lavoro - se chi lavora è messo cioè nelle condizioni di essere anche il proprietario dei mezzi produzione e del capitale produttivo - e se la sua diffusione è massima ed equa tra la popolazione (distributismo).

Si tratta solo di ragionevolezza e senso comune.

Per informazioni ed approfondimenti: distributismomovimento.blogspot.com

mercoledì 1 giugno 2016

E' L'ORA DELLE GILDE DISTRIBUTISTE!


Viviamo in un mondo in cui il tessuto sociale è diviso e frammentato: dipendenti contro lavoratori autonomi, proprietari contro salariati, giovani contro vecchi, destra contro sinistra, conservatori contro progressisti. L'individuo e le famiglie sono sempre più sole ed isolate di fronte alla macchina burocratica dello Stato da una parte ed alle oligarchie economico-finanziarie dall'altro. Cosi non va! E' necessario invertire la marcia e farlo subito prima che sia troppo tardi, prima che il processo di dissoluzione delle nostre comunità raggiunga un livello irreversibile.
Il rimedio è semplice, alla portata di tutti; non richiede denaro ma l'acquisizione della consapevolezza che le risorse per migliorare le cose ci sono già, siamo noi, con le nostre capacità umane e professionale, il nostro impegno, la nostra dedizione. Si tratta di rispondere all'isolamento sociale stabilendo forti legami di reciprocità e solidarietà sui territori, alla frammentazione con l'integrazione basata sul dialogo e la conoscenza reciproca, all'impotenza con il recupero della consapevolezza del proprio diritto a decidere sulle questioni concrete della propria vita economico-sociale.
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è semplicemente un contenitore chiaro e ben definito in cui poter dar vita a tutto ciò: questo contenitore sono le gilde o corporazioni distributiste.
Le gilde distributiste si propongono di aggregare sui singoli territori tutte le persone di buone volontà che condividono una stessa funzione sociale o lavorativa, al di là di ogni distinzione di censo o di ruolo. Ad esempio, nel caso della sanità, si tratterà di aggregare medici, infermieri e tutti gli altri operatori sanitari, insieme a rappresentanti dei pazienti, ed incominciare a discutere insieme tutte le questioni che riguardano una buona gestione della salute: formazione dei professionisti, remunerazioni minime e massime, qualità ed organizzazione dei servizi offerti, allocazione delle risorse pubbliche, copertura previdenziale e pensionistica degli operatori e quant'altro. Condividere lo stesso ambito e funzione lavorativa deve essere l'elemento aggregante principale, insieme ad alcuni fondamentali principi di convivenza civile legati alla ragionevolezza e ed al senso comune e come tali patrimonio di ogni uomo. Questi principi sono:
  • riconoscere la necessità di un'equa distribuzione della proprietà produttiva – che chi lavora debba essere messo cioè nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione – quale prerequisito essenziale della stabilità e prosperità economico-sociale
  • riconoscere che chi lavora deve essere messo nelle condizioni di discutere e decidere le questioni essenziali e concrete che riguardano il proprio ambito socio-lavorativo (principio corporativo)
  • riconoscere che il denaro non può nascere di proprietà di una minoranza del corpo sociale – i banchieri – ma deve essere prodotto dai cittadini per i cittadini, secondo regole trasparenti e condivise, per incrementare gli scambi e la produzione di ricchezza reale all'interno della comunità.
  • riconoscere che la famiglia basata sul matrimonio, cioè sull'unione di un uomo e di una donna aperti alla fecondità ed alla procreazione, è un corpo sociale naturale da difendere e tutelare e che come tale ha diritto alla massima indipendenza economica.

Sono questi i principi di fondo, semplici e lineari, a-ideologici ed aconfessionali, in grado di costituire il collante di una comunità di uomini liberi, in grado di consentire ai singoli, a partire dalla loro nascita, lo sviluppo massimo delle proprie potenzialità.

Le gilde e corporazioni distributiste possono e devono incominciare a crearsi ora, a partire dal basso, dai singoli territori, per coordinarsi poi a livello nazionale in modo che le peculiarità culturali, sociali e produttive delle singoli aree siano pienamente rispettate, pur integrandosi in un quadro nazionale organico più ampio.
Il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) intende solo mettere a disposizione tale contenitore perchè i contenuti specifici e particolari possano poi essere forniti e proposti dalla gente reale, che conosce da vicino le problematiche concrete della propria situazione socio-lavorativa e sa indicare quali possano essere le strategie di soluzione.

Per questo ci rivolgiamo a tutte le famiglie ed a tutte le persone della nostra nazione che mantengono ancora la speranza di un futuro migliore: questo futuro è a vostra disposizione ma a patto che decidiate di esserne voi i protagonisti, di non delegare più ad altri le decisioni riguardo la vostra vita. Uscendo dal guscio di paura in cui vi hanno fatto rintanare, potrete scoprire che il vostro vicino, nel 90% dei casi, non è il vostro nemico ma una persona come voi, desideroso di instaurare dei rapporti di reciproca collaborazione e di condurre una vita normale fatta di lavoro onesto, rapporti sociali soddisfacenti e tempo libero per le amicizie e gli interessi personali

Non perdete tempo quindi, aderite oggi alle gilde distributiste, incominciate voi a dare il segnale che può cambiare il mondo a partire dalle piccole cose, dai piccoli gesti della vita quotidiana.

Per informazioni ed adesioni mandare un messaggio a movimentodistributista@gmail.com o visitare il sito distributismomovimento.blogspot.com

domenica 22 maggio 2016

LA CREAZIONE DI DENARO DAL NULLA DA PARTE DEL SISTEMA BANCARIO: UNA TRUFFA COLOSSALE.

La truffa della creazione di denaro dal nulla da parte del sistema bancario privato è spiegata in maniera esemplare ed inoppugnabile dal prof. Richard Werner dell'Università di Southampton, inghilterra (http://youtu.be/wDHSUgA29Ls) La soluzione? È lo stesso prof.Werner a indicarcela ( http://youtu.be/zIkk7AfYymg): il denaro deve nascere di proprietà pubblica, libero da debito, per finanziare i servizi utili alla comunità ed il sistema bancario commerciale deve essere privato del privilegio di creare moneta dal nulla come debito verso terzi. Le banche, sostiene giustamente il prof.Werner, dovrebbero fare solo ciò che i cittadini ignari pensano che facciano oggi: prestare il denaro già esistente. Ignorare che il 97% del denaro oggi disponibile viene creato dal nulla dal sistema bancario privato vuol dire non aver capito nulla della questione monetaria e condannarsi ad un destino di sottomissione totale a tale elitè usurocratica. Il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) non accetta di tacere od ignorare tale truffa colossale, che è un fatto inconfutabile da tutti riscontrabile e verificabile. Non accettiamo di abiurare la nostra libera intelligenza, di cedere al gioco di quanti, con l'inganno ed una sterile e fumosa retorica priva di ogni sostanziale adesione al reale, tentano di coprire uno dei più grandi crimini che si sta commettendo contro l'umanità, sottraendolo all'attenzione dell'opinione pubblica. Questa non è fondamentalmente una questione di teorie economiche ma una questione essenzialmente morale che deve interrogare la coscienza etica e civile di tutti coloro che a vario titolo si occupano di bene comune, i quali hanno il dovere, non il diritto, di mettere fine al più presto a tale perversione sociale.

martedì 3 maggio 2016

Il capitalismo controlla lo Stato attraverso la moneta

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Ormai eclissata l'antica alleanza tra trono ed altare, quella a cui assistiamo oggi è il totale controllo dello Stato da parte del capitalismo bancario e finanziario.
Attraverso l'accaparramento in toto e la privatizzazione della moneta, il capitalismo tiene in pugno lo Stato e lo utilizza come esattore delle tasse nei confronti della popolazione ignara.
I banchieri privati infatti producono a costo zero il denaro, che imprestano poi allo Stato, il quale si indebita e chiede poi i soldi per pagare tale debito ai cittadini.
Così il gioco è fatto: il potere reale rimane saldamente nelle mani dei banchieri e dei loro associati, i grandi capitalisti e le multinazionali apolidi, che rimangono dietro le quinte, lo Stato ed i cittadini vengono sfruttati, lavorando in sostanza gratis per qualcun altro: la parola servi, utilizzata dai distributisti già dagli inizi del secolo scorso, non potrebbe essere più appropriata.
Il capitalismo, come un vero e proprio parassita, ha così irrimediabilmente fagocitato lo Stato e la politica, non potendo sopravvivere da solo a causa della sua strutturale insostenibilità ed inefficienza. Privatizzazione degli utili e statalizzazione delle perdite è il mantra che regna sovrano. Questa situazione continuerà inesorabilmente finché la gente non di risveglierà da questa sorta di incantesimo e capirà una volta per tutte che la moneta deve nascere di proprietà dello Stato e dei cittadini e non di una minoranza di parassiti sociali, i banchieri.
Il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) è in prima linea per combattere questa battaglia di civiltà e giustizia, dal cui esito dipende il futuro della nostra libertà.

venerdì 29 aprile 2016

Primo maggio: il lavoro non è una merce. No a capitalismo e social-comunismo, si al distributismo!


Primo maggio, una festa importante. Occasione, anche, per fare un bilancio e porsi alcune domande su quanto sta accadendo.
Qual è la condizione del lavoro oggi in Italia e nel mondo?
Uno sguardo obiettivo allla realtà, al di fuori di ogni condizionamento ideologico, ci impone una sola risposta: il lavoro versa oggi in una condizione tragica.
Perché? E’ molto semplice: il lavoro, dai modelli economico-sociali oggi dominanti, cioè capitalismo e social-comunismo, è considerato come una merce, un oggetto esposto, come tutto ciò che quantificabile, alle leggi del mercato, uno strumento di profitto che può e deve essere manipolato secondo le regole dello scambio affaristico.
La riduzione del lavoro a merce equivale, inevitabilmente, alla riduzione dell’autore del lavoro, la singola persona, ad oggetto interscambiabile, equivale quindi in ultima analisi alla cosificazione dell’uomo.
“Cose” in balia dei flutti del mercato appaiono infatti le migliaia di giovani laureati e ben preparati costretti ad impieghi precari ed aleatori nei call center della varie multinazionali, “cose” appaiono i milioni di giovani con una capacità professionale acquisita ma disoccupati, “cose” appaiono i migliaia di giovani usciti dalle università e costretti ad emigrare, abbandonando la propria terra e la propria famiglia.
La mercificazione del lavoro, presupposto di fondo di capitalismo e social-comunismo, non può infatti portare altro che a questo. Cosa si intende esattamente per mercificazione del lavoro? Si intende il fatto che, nel momento in cui capitale e lavoro si separano, il lavoro diventa per il capitalista un semplice strumento al servizio del proprio profitto, finalizzato alla massimizzazione dei guadagni. Il capitalista non ha più nessuna percezione della dimensione umana, qualitativa del lavoro stesso: questi aspetti diventano del tutto secondari rispetto agli imperativi contabili della resa monetaria finale. Il social-comunismo accetta di fatto questa situazione e tenta solamente di porre degli argini quantitativi, imponendo a chi detiene la proprietà dei mezzi di produzioni alcuni limiti, per continuare però poi a proporre e mantenere la separazione tra capitale e lavoro, concentrando nelle mani dello Stato tutto il capitale e quindi il potere decisionale. Chi lavora rimane una “cosa” nelle mani di qualcun altro che detiene il potere reale.Soluzione altrettanto nefasta, come la storia ci dimostra, di quella capitalista.
Che fare allora?
Molto semplice: puntare senza esitazioni alla riunione tra capitale e lavoro, al fatto cioè che chi lavora sia messo nella condizione di poter scegliere se essere anche proprietario dei mezzi di produzione, puntare ad una società di tanti proprietari-lavoratori quanto è possibile crearne.
Ciò vuol dire, rispetto a capitalismo e social-comunismo, restituire al lavoro la sua dimensione naturale di espressione della creatività umana, ciò vuol dire, rispetto a capitalismo e social-comunismo, optare decisamente per il distributismo.
Potenziare ed accrescere questa consapevolezza sarebbe un modo costruttivo di festeggiare degnamente il primo maggio, di incamminarci verso una riscoperta del ruolo reale che il lavoro dovrebbe avere, per una società più prospera, efficiente ed equa..
Il resto è solo sterile retorica auto celebrativa di ideologie ormai morte e sepolte, che suona anche paradossale e grottesca alla luce della reale condizione economico-sociale.