lunedì 1 maggio 2017

IL PRIMO MAGGIO E L'AGONIA DEL LAVORO: LA NECESSITÀ DI APRIRE LE PORTE AL DISTRIBUTISMO



Il Pescara oggi è ultimo nella classifica di serie A, matematicamente retrocesso in serie B. Se si decidesse di fare una festa alla squadra per celebrare i suoi successi, cosa penserebbe l’opinione pubblica? Che l’iniziativa sarebbe una vera follia od una colossale presa per i fondelli. Possiamo dire che la stessa cosa accade oggi, primo maggio 2017, per il lavoro. Altro che festa del lavoro! Se si volesse evitare ogni ipocrisia, ci sarebbe solo una cosa da celebrare questo giorno per il lavoro: il suo funerale!
Un tale accento necrofilo non nasce da un morboso pessimismo ma semplicemente da un sano realismo. Possiamo affermare senza tema di smentita che oggi il lavoro infatti è proprio morto, nel senso che ha perso quella forza vitale e propulsiva che in epoche passate ne ha fatto l’elemento fondamentale in grado di produrre prosperità e benessere a chi lo praticava. Le epoche passate a cui mi riferisco sono quel periodo della storia dell’umanità in cui il capo famiglia medio, indipendentemente dalla sua appartenenza ad un partito politico od ad una fazione di potere, era in grado di svolgere un’attività lavorativa dignitosa, non più di otto mesi all’anno, e di mantenere con il frutto del proprio operato se stesso ed una famiglia di almeno quattro persone, essendo anche in grado di mettere da parte qualcosa. Sto parlando del paradiso in terra? No, sto parlando per esempio dell’Inghilterra del XV sec., circa due secoli prima che la confisca dei beni ecclesiastici da parte di Enrico VIII ed il conseguente avvento del capitalismo riducesse in miseria la stragrande maggioranza del popolo britannico.
Di cosa si tratta? Si tratta dell’effetto nefasto che il capitalismo ebbe, nel corso di tutta la sua storia, sul lavoro, dal momento in cui predicò sin dall'inizio dal punto di vista teoretico e, quel che è peggio, realizzò nei fatti la separazione tra capitale e lavoro. Questa separazione fu il fattore esiziale che condannò il lavoro ad una morte certa, attraverso un lenta e progressiva agonia che dura da secoli. Il social-comunismo, nelle sue varie forme e derivati, tra cui per esempio il keynesismo, malgrado si fosse presentato in apparente opposizione al capitalismo, favorì invece tale processo fatale in modo forse ancora più determinante, rinforzando la separazione tra capitale e lavoro e concentrando capitale, proprietà e potere nelle mani dell'apparato burocratico statale. In questo senso appare evidente a chiunque sia aperto ad accogliere i dati di realtà che ci giungono da secoli di storia quanto capitalismo e social-comunismo siano in realtà due facce di una stessa medaglia, di un sistema cioè che mira allo svilimento e svuotamento del fattore lavoro in favore dell’accumulazione di beni e risorse da parte di una minoranza elitaria della popolazione, sia essa l’apparato centrale di uno Stato burocratico o la grande finanza capitalista.
Come distributisti, ben consci di questa situazione e di come il lavoro si trovi oggi in una condizione agonizzante, schiacciato sotto il peso incombente e prevaricante da una parte della finanza e del grande capitale e dall’altra dallo Stato, che agisce ormai solo su dettato di questi, non ci sentiamo di unirci  il primo maggio al coro dei festeggiamenti, semplicemente perché riteniamo che non ci sia nulla da festeggiare. C’è invece da combattere una battaglia quanto mai dura e aspra perché il lavoro si rialzi dal suo letto di morte e torni ad essere lo strumento privilegiato di espressione delle capacità e del valore umano, disponibile per tutti, perché torni ad essere il metro principale in base al quale venga distribuita la ricchezza materiale, la proprietà, il peso sociale ed il potere reale, relegando la finanza e la moneta a meri mezzi finalizzati alla sua massima crescita ed espansione. Per far questo occorre l'attuazione di due cose principali: che capitale e lavoro tornino ad unirsi nelle stesse persone, che ci si adoperi cioè per la diffusione più ampia possibile della figura del lavoratore-proprietario, e che la moneta torni ad essere di proprietà dei cittadini e degli Stati al momento dell’emissione, eliminando debito pubblico e privato e tasse esose e ridimensionando la casta dei saprofiti sociali ed usurai chiamati banchieri.
Questi due punti sono parte fondamentale e non negoziabile del progetto distributista.
Quando essi saranno realizzati, e solo allora, si potrà pensare a festeggiare davvero, evitando le esternazioni ipocrite di questi giorni , in cui chi esalta il lavoro con parole sterili e retoriche lo condanna poi ad una morte certa nei fatti.
Apriamo le porte al distributismo quindi, contro le spinte mortifere di capitalismo e social-comunismo, oggi grandi alleati nella lotta contro il lavoro.


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