giovedì 25 maggio 2017

DISTRIBUTISMO, L'ALTERNATIVA AL SISTEMA PARTITOCRATICO ED A CAPITALISMO E SOCIAL-COMUNISMO




Ci si è ormai quasi assuefatti alle notizie di cronaca giornalistica che ci riportano i reati di corruzione o concussione dei nostri “onorevoli” rappresentanti politici, a tutti i livelli, da quello comunale per finire a quello nazionale ed europeo.
Un’assuefazione molto pericolosa perché ci può spingere a considerare quasi normale una situazione di degrado che non lo è affatto.
Ancora più pericolo pensare che l’unica vera causa di tale degenerazione sia di natura morale.
Il sistema di rappresentanza partitico di per sé è il migliore che esista – si dice – il problema è la mancanza di una dirittura morale degli uomini ai vertici!
Falso! E totalmente illogico!
Come è possibile infatti sostenere che un’organizzazione politica che prevede la privazione pressochè totale del potere reale dei cittadini di decidere le questioni essenziali della loro vita socio- lavorativa, per concentrare tale potere nelle mani di un’elitè ristretta – i parlamentari – sia il migliore strumento possibile di rappresentanza? Poiché questi parlamentari vivono in un loro mondo – il mondo della burocrazia e dell’amministrazione statale – separato e distante dal mondo in cui vive l’uomo della strada, cosa dovrebbe trattenere tali rappresentanti dall’utilizzare la loro posizione per trarre vantaggi personali e per appoggiare quanti sono in grado di sostenerli con il potere dei soldi? E’ chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro, e corrotto aggiungerei io, e questo sistema – il sistema partitocratico – sembra fatto apposta per indurre il singolo in tentazione.
Né si può sostenere che l’istituzione partito possa di per sé costituire una garanzia di trasparenza ed onestà.
Il partito per definizione rappresenta un corpo estraneo e divisorio rispetto alla totalità della società civile, il raggruppamento di un minoranza settoriale della comunità che condivide una specifica visione del mondo in contrapposizione ad altri cittadini. Il partito va bene quindi come entità culturale ma nel momento in cui fagocita ogni spazio del vivere civile e diviene un contenitore finalizzato alla spartizione del potere, assecondando quella che è la sua natura costitutiva, condanna la società civile stessa, fatta di famiglie e corpi intermedi concreti, ad un ruolo forzatamente secondario. Il partito inoltre, dipendendo per il suo sostentamento da un aiuto di tipo finanziario – di per sé infatti non produce nulla – è quanto mai condizionabile nelle sue scelte di fondo dagli umori e dalle convenienze dei suoi finanziatori. La compulsione frenetica da parte dei moderni demogoghi ad eliminare ogni forma di sussidio pubblico non fa altro che peggiorare tale situazione.  Questo spiega perché per esempio negli Stati Uniti i programmi dei partiti repubblicano e dei democratico, finanziati in egual misura dalle grandi banche internazionali – sembrano quasi sovrapponibili per quanto riguarda la visione di fondo delle questioni sostanziali attinenti l’economia e la finanza.
I partiti quindi, come sostenevano i distributisti Chesterton e Belloc agli inizi del secolo scorso, non sono altro che uno strumento di potere nelle mani della grande finanza e delle multinazionali per controllare e dirigere da dietro le quinte l’attività legislativa.
Il problema non è dunque morale ma strutturale! E il sistema dei partiti che non funziona! Ce lo dimostra il fatto che negli ultimi 70 anni, malgrado il succedersi vorticoso di formazioni politiche sempre nuove, la sostanza non è mai cambiata ed anzi la perdita progressiva di potere reale da parte del popolo à stata proporzionale all’aumento degli inciuci tra politica e finanza.
Se andiamo più indietro nel tempo poi, dal 1861 agli anni ’30, la situazione appare ancora peggiore: si constata infatti una serie infinita e continua di scandali e collusioni perverse tra politica e finanza, In Italia e nel mondo, di cui ormai si è persa o si è voluto far perdere la memoria, come se la storia non fosse un continuum ma un eterno e depressivo presente.
Paradossalmente quindi si può sostenere che quei pochi politici onesti ed in buona fede che oggi esistono – immersi come sono in un sistema strutturalmente perverso – sono dotati necessariamente di una tempra morale superiore alla media, che gli consente di non soccombere immediatamente di fronte allo sfacelo di cui sono testimoni.  Vengono percepiti -  e probabilmente si percepiscono – come pesci fuor d’acqua, degli illusi idealisti. Inevitabilmente la maggior parte di loro finisce comunque col cedere, cioè o col conformarsi al generale clima di corruttela o col distanziarsi dalla politica disgustati.

Che fare quindi? Esiste un’alterativa alla partitocrazia, che non sia la dittatura del partito unico o il ritorno ad improbabili monarchie?
Certo, un’alternativa esiste, un’alternativa fattiva e praticabile che, utilizzando un po’ di buon senso, tutti potrebbero arrivare a cogliere.
Si tratta semplicemente di ridare potere alla società civile, articolata nei vari comparti socio-lavorativi che costituiscono la vita pulsante delle nostre comunità.
Il Movimento Distributista Italiano non ha dubbi a questo riguardo.
Per prima cosa bisogna restituire al denaro la sua funzione primigenia di strumento al servizio della prosperità della società, in modo che ritorni ad essere mezzo per facilitare gli scambi di beni e servizi e non veicolo di arricchimento indebito di un settore parassita della popolazione – il sistema bancario. Concretamente ciò vuol dire due cose molto semplici: ridare ai cittadini ed alle istituzioni pubbliche la proprietà della moneta al momento dell’emissione ed eliminare l’usura, cioè qualsiasi interesse sul prestito di denaro.
Parallelamente è necessario incominciare a lavorare per restituire in forma più organica poteri reali ai cittadini e questo può essere fatto in un solo modo: aggregando le persone sui territori per comparto e funzione lavorativa, indipendentemente dalla loro appartenenza ideologica, partitica, religiosa, e creare forti contenitori, con alto tasso di democrazia interna, che siano in grado di discutere e decidere le principali questioni socio-lavorative ed economiche che riguardano la vita quotidiana delle persone, senza mai uscire ovviamente dalla cornice più ampia del bene comune.
Si tratta delle Gilde Distributiste, l’unica forma rappresentativa realmente democratica in grado di dare voce alle sacrosante esigenze della gente. Le gilde non sono sindacati, perché non si occupano solo di rivendicare diritti settoriali di parte del mondo lavorativo ma di affrontare e gestire tutte le questioni davvero importanti – dalla formazione alla pensione ed alla tutela previdenziale.  Le gilde si fanno promotrici di una visione organica ed umana del lavoro, raccogliendo al proprio interno apprendisti e professionisti già affermati, giovani e vecchi, dipendenti e proprietari, appartenenti a tutte le classi sociali ed a tutti ruoli lavorativi. Le gilde non si limitano a rivendicare ma propongono costruttivamente anche soluzioni e sono in grado di trovare al proprio interno le risorse per far fronte ai principali problemi socio-economici-organizzativi, senza dover ricorre necessariamente ad interventi assistenziali statali. Per esempio, la Gilda della Salute Mentale potrebbe comprendere al suo interno tutti gli operatori ed i soggetti coinvolti nella cura e prevenzione del benessere psichico (psichiatri, psicologici, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali, infermieri, rappresentanti di utenti e familiari e di istituzioni pubbliche e private a vario grado implicate con la salute mentale stessa) ed occuparsi a 360 gradi di tutti i problemi concernenti questo settore, a partire dalla formazione degli operatori, alla stesura di un codice deontologico-comportamentale, dalla determinazione degli stipendi minimi e massimi, del sistema previdenziale e pensionistico, fino all’organizzazione e la gestione dei servizi rivolti al pubblico.
Le gilde distributiste favoriranno al loro interno la massima diffusione della proprietà privata, in modo da mettere chiunque lo voglia nella condizione di poter diventare proprietario o con-proprietario dei mezzi di produzione, diffondendo quindi equità, prosperità e stabilità economico-sociale.
I vari rappresentanti delle gilde potranno poi riunirsi in un consiglio cittadino, in grado di comporre le singoli proposte in un visione comune, e dialogare poi, da una posizione di forza e non subordinata, con i rappresentanti delle istituzioni pubbliche.
Quale spazio avrebbe il rappresentante di una gilda o corporazione per prendere decisioni, firmare proposte, sostenere atti che vadano contro quanto democraticamente deciso in seno alla corporazione stessa? Praticamente nessuno, perché ogni sua azione pubblica cadrebbe sotto l’occhio attento e vigile dei membri della gilda stessa ed a questi – e solo a questi - dovrebbe poi renderne conto.
I partiti potrebbero anche rimanere ed i loro rappresentanti essere eletti in un parlamento, ma il potere dello Stato e del governo sarebbe limitato a coordinare le attività delle gilde, a correggere tutte quelle tendenze delle gilde che fuoriuscissero dai binari del bene comune, a garantire la solidarietà e l’aiuto ai più deboli,  a fare rispettare le leggi e l’ordine pubblico, ad intervenire là dove la società civile non fosse in grado di operare in maniera costruttiva. Il potere reale, nella maggior parte dei casi, rimarrebbe nelle mani dei cittadini attraverso le gilde stesse. Lo Stato quindi, lungi dall’essere abolito, rimarrebbe, ma sarebbe più leggero. Contrariamente allo Stato capitalista, lo Stato distributista non si ritrarrebbe però per lasciare spazio ai capitalisti, ai detentori cioè di capitale, ma favorirebbe in tutti i modi l’unione tra capitale e lavoro e quindi la distribuzione della proprietà e del potere reale, per mettere i singoli nella condizione di sviluppare al massimo le proprie capacità, all’interno delle regole condivise elaborate dalle gilde.

Le gilde distributiste infatti fanno parte di un quadro più ampio, appunto lo Stato distributista, che in estrema sintesi nel suo complesso propone quattro punti principali:
-          la centralità anche economica della famiglia, basata sull’unione di un uomo e di una donna nel matrimonio ed aperti alla fecondità ed all’educazione della prole
-          la riunione tra capitale e lavoro
-          le gilde distributiste, quali strumento di redistribuzione dei poteri reali
-          la restituzione della proprietà del denaro al momento dell’emissione ai cittadini ed alle istituzioni pubbliche.

In questo senso, e senza alcuna ombra di dubbio, la proposta distributista rappresenta un’alternativa netta e senza se e senza ma, al sistema capitalista ed a quello social-comunista, che hanno dimostrato, sia dal punto di vista teoretico, sia dal punto di vista storico, il loro totale fallimento.
Il pensiero distributista inoltre, lunghi dall’essere un’utopia, è radicato su ciò che unisce tutti gli uomini di retta ragione e buona volontà: il senso comune.
Per questo esso non rappresenta altro che un modo virtuoso di entrare in contatto con il reale.

Per ulteriori informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

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