lunedì 19 giugno 2017

PARTITO DEI SINDACI E LISTE CIVICHE: OCCASIONE O COAZIONE A RIPETERE? IL PUNTO DI VISTA DEL MOVIMENTO DISTRIBUTISTA ITALIANO


Proprio ieri, su un articolo in prima pagina del giornale La Sicilia, Leoluca Orlando, neo-eletto sindaco di Palermo con una maggioranza di sinistra-centro de 46,6%, ha rilanciato in maniera esplicita il “Partito dei Sindaci” come soluzione ai mali della Sicilia e dell'Italia.
Orlando parla apertamente di crisi dell'istituzione “partito”. I partiti, dice Orlando, sono lontani dalla gente, dagli interessi concreti del territorio. In alternativa a tale modello, Orlando propone quindi un modello “civico”, che riecheggia da vicino l'idea dell'”economia civile” proposta dal professore Stefano Zamagni, ex presidente della Facoltà di Economia dell'Università di Bologna, nominato nel 2007 dal governo Prodi presidente dell'Agenzia per le Onlus e nel 2013 da papa Francesco membro ordinario della Pontifica Accademia delle Scienza.
Sulla stessa scia, molti personaggi politici che hanno fatto parte dell'apparato dei partiti sia di centro-sinistra sia di centro-destra stanno abbandonando il loro ovile originario per riciclarsi con liste civiche dai nomi fantasiosi ma sempre attinenti ad alti valori etici, ripresentandosi così con abiti diversi agli stessi cittadini.
Tutto ciò inoltre avviene nel bel mezzo della crisi di quelle ampie e coerenti visioni che sono state in grado di trascinare dietro di sé milioni di persone nel corso del secolo scorso: il capitalismo, il social-comunismo. Una crisi causata essenzialmente dal fallimento pratico di tali visioni, cioè dalla loro sostanziale incapacità di incontrare il reale e migliorarlo.
Il ritorno al civismo comunale quindi può essere interpretato in due modi principali:
di fronte alla caduta di ogni paradigma ideologico generale ci si rifugia nel concreto e nel “particulare”, perdendo di vista una visione generale dell'economia e del bene comune nelle sue dimensioni macro-sistemiche. Una sorta di empirismo a dimensione locale, che neghi la possibilità di cogliere gli universali che dovrebbero dettare i principi di ogni retto e prospero ordine economico-sociale. Lo slogan di questa posizione potrebbe essere: “non vogliamo cambiare il mondo, vogliamo cambiare il nostro comune”.
L'altro modo di interpretare il ritorno al civismo comunale consiste invece nell'affrontare senza complessi di inferiorità le grandi questioni ed asserire senza se e senza ma il fallimento radicale delle narrazioni capitalista e social-comunista, nelle loro varie declinazioni, proponendone invece un'altra, in grado di intercettare il reale e consentire il massimo sviluppo possibile delle risorse umane concrete delle persone. Questa è la strada che ha intrapreso il distributismo.
Se il ritorno al civismo comunale rappresenta una battaglia minimalistica di retroguardia, priva di una chiara visione dei principi fondanti che devono caratterizzare i vari aspetti della vita civile, questa battaglia è persa in partenza, di fronte allo schieramento di forze finanziarie messe in campo dal sistema statalista-capitalista attuale, in grado di controllare e gestire a piacimento i mass-media.
Il distributismo a questo riguardo non ha dubbi. Il confronto con capitalismo e social-comunismo va affrontato in campo aperto. Va detto in maniera esplicita che prima viene la società naturale, così come si costituisce sui vari territori, e poi lo Stato, che di questa società deve essere espressione naturale e non strumento di controllo e di artificiale plasmazione. Va quindi detto in maniera esplicita che la famiglia naturale basata sull'unione di un uomo ed una donna aperti alla procreazione responsabile è la prima “societas” che deve essere lasciata libera di esprimere tutte le sue potenzialità, che questa libertà oggi è gravemente minacciata ed inibita e va invece supportata in con una legislazione adeguata. Va detto in maniera esplicita che il sistema dei partiti non ha rappresentato fino ad ora altro che un meccanismo di progressiva espropriazione di potere nei riguardi dei cittadini e dei corpi sociali intermedi e di accumulazione di proprietà e potere nelle mani di un numero ristretto di persone, siano esse i grandi capitalisti od i burocrati di Stato, e che devono essere al più presto attivate forme di partecipazione e rappresentanza democratica più efficaci e concrete, basate sull'appartenenza e la condivisione di una stessa funzione socio-lavorativa piuttosto che sulla comune adesione ad una ideologia (principio corporativo). Va detto in maniera esplicita che finchè viene accettato il dogma condiviso da capitalismo e social-comunismo, secondo cui è buono e giusto che capitale e lavoro e lavoro siano separati, ogni possibilità di uno sviluppo equo e prospero dell'economia e della realtà sociale sarà impossibile: vanno perciò emanate leggi ad ogni livello istituzionale che mettano chi lo desidera nelle condizioni di diventare proprietario dei mezzi di produzione. Infine, va detto in maniera esplicita che ogni tentativo riformista di migliorare le cose sarà destinato inesorabilmente a fallire se la cittadinanza non assume la piena consapevolezza che lo strumento monetario che oggi utilizziamo costituisce un mezzo di asservimento debitorio, gestito in regime di totale monopolio dal sistema bancario privato. Vanno pertanto intraprese fin da subito tutte quelle iniziative legislative e sociali, a vario livello, in grado di porre un rimedio a questo grave problema.
Su queste basi riteniamo che un ritorno ad un sano civismo comunale possa rappresentare il punto di partenza per un cambiamento sostanziale del modo di intendere la vita economico-finanziaria e sociale e contribuire significativamente al bene comune generale e non “particulare”.
A nulla vale quindi presentare liste civiche animate da lodevoli intenti se è i programmi di tali liste non mettono nero su bianco questi punti fondamentali, in modo che il vincolo che leghi tutti coloro che vi aderiscono non sia la fiducia cieca nel salvatore di turno ma la consapevolezza di un programma chiaro da attuare, indipendentemente dalle persone concrete che se ne fanno interpreti.

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