sabato 6 ottobre 2018

DISTRIBUTISMO: UN NUOVO PARADIGMA BASATO SUL SENSO COMUNE OLTRE LO STATO SERVILE


Nel 1962 il filosofo americano Thomas Kuhn diede alle stampe un libro molto importante: “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”. In esso sosteneva che la scienza, contrariamente a quanto si pensa, non procede in maniera lineare ma per cambi di paradigma in grado di introdurre nuove visioni della realtà, sulla base dei quali si sviluppano poi tutta una mole di nuove ricerche, progetti e scoperte.
E’ evidente che tale visione si può applicare tale e quale alla storia.
Viviamo infatti oggi in una fase in cui il paradigma dominante – l’alleanza tra capitalismo e social-comunismo o, in termini più semplici, tra grande capitale e grande Stato – sta mostrando ormai da secoli la sua totale inconsistenza, tanto che il concetto di “crisi” è ormai diffuso in tutti gli ambiti dell’agire sociale: morale, economia, finanza e politica.
Tale paradigma infatti, secondo il distributismo, si basa su fondamenta per così dire metafisiche del tutto incongrue e fallaci, non in grado di cogliere adeguatamente il reale.
La premessa metafisica di fondo del capitalismo è infatti l’avarizia, cioè che sia buono e giusto dare il via libera totale allo sfrenato desiderio di accumulare beni e risorse, mentre quello del social-comunismo è l’invidia, cioè l’odio livellatore per tutto ciò che si distingue in meglio rispetto a sé. La loro alleanza deriva dal ritrovarsi entrambi intorno al principio della separazione tra capitale e lavoro ed alla concentrazione di proprietà e potere nelle mani di pochi: per il capitalismo questi pochi sono i capitalisti, per il social-comunismo i burocrati di Stato. Ecco quindi che lo Stato servile, cioè il sistema in cui l’oligarchia finanziaria mantiene il potere reale attraverso il grande Stato e domina su una massa di servi tutti uguali, rappresenta l’esito ultimo di tale processo, come aveva profetizzato il distributista Hilaire Belloc nel 1911 nel libro ononimo “Lo Stato Servile”.
Un cambiamento quindi a questo punto non può certo avvenire con qualche timida riforma o qualche sporadico ed isolato tentativo ma solo con un cambio netto di paradigma, un cambio netto del modo di intendere l’economia, la politica, la finanza, la moneta. 
Ecco che quindi il pensiero di Thomas Kuhn torna attuale.
Il problema è: quale può essere questo nuovo paradigma?
Innanzitutto dovrà essere un paradigma le cui fondamenta siano solide e ben radicate nel reale: non quindi avarizia od invidia alla sua base ma il sano senso comune e la ragionevolezza, che dal punto di vista economico-sociale e politico non può altro che trasformarsi nei principi di giustizia sociale, equità, bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Così, rispetto alla questione centrale del rapporto tra capitale e lavoro, non separazione tra questi due fattori ma unione; non accumulazione del capitale e della proprietà nelle mani di pochi ma massima possibile diffusione della proprietà produttiva secondo i meriti e le competenze di ciascuno. Non quindi libertà assoluta di accumulare con tutti i mezzi beni e risorse, ma regolamentazione condivisa e partecipata del mercato secondo norme e codici comportamentali che assicurino il rispetto della giustizia e dell’equilibrio sociale. Non devono essere associazioni elitarie, lontane, anti-democratiche quali l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Trilateral Commission, il Council for Foreign Relationship, il Gruppo Builderberg, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Salute, popolate da banchieri e multinazionali, a decidere le regole che caratterizzano la vita dei cittadini ma devono essere i cittadini stessi, raggruppati secondo la loro naturale funzione lavorativa. Dal punto di vista politico quindi non espropriazione dei poteri reali dei cittadini e loro confluenza nelle mani di burocrati o politici incompetenti o di associazioni anonime sovra-nazionali ma aggregazione dei cittadini per comparti lavorativi e restituzione a loro della maggior parte di tali poteri reali: nulla di nuovo, si tratta del millenario principio corporativo, che riconosce la priorità della famiglia e dei corpi sociali naturali rispetto allo Stato. La società in sintesi non è un aggregato di atomi gestito da un potere centrale ma un corpo vivo che agisce, con funzioni e ruoli diversi e specifici, in vista di un bene comune.
Non più denaro come proprietà esclusiva di un settore sociale limitato – i banchieri – emesso come debito di Stati e cittadini, ma denaro emesso come proprietà dei cittadini stessi e quindi libero dal peso artificiale e mortifero del debito. Non più inoltre denaro-merce, con un suo costo – il tasso di interesse – che intossica e distrugge l’economia reale attraverso lo sfruttamento e la speculazione invece che servirla ma denaro libero da interesse, inteso come strumento indirizzato al bene comune, all’incremento dello scambio di beni e servizi.
Centralità della famiglia naturale; unione di capitale e lavoro e massima diffusione della proprietà produttiva; superamento del sistema partitocratico e reintroduzione del principio corporativo; eliminazione del denaro-debito bancario ed introduzione di una moneta al servizio del bene comune: sono questi i punti essenziali di quello che si presenta come un unico e coeso paradigma in grado di porsi come alternativa valida e coerente allo Stato servile, cioè all’alleanza di capitalismo e social-comunismo.
Questo paradigma si chiama distributismo ed ha in se le potenzialità per finalmente unire il popolo italiano al di là ed oltre ogni sterile divisione partitica, sulla base del senso comune e della ragionevolezza che sono già patrimonio acquisito di tutti. 
Il Movimento Distributista Italiano si pone pertanto come il contenitore in cui unire ed aggregare intorno a contenuti chiari ed incontrovertibili tutte le forze sane della nazione.

Per informazioni ed adesioni distributismomovimento.blogspot.com

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